Presentato il Dossier IDOS Immigrazione 2025

Presentato il Dossier Statistico Immigrazione 2025, a cura di IDOS realizzato in collaborazione il Centro Studi e rivista Confronti, e l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”

Il rapporto raccoglie i contributi di oltre 100 tra i più autorevoli studiosi e ricercatori in materia, esprimendo così un ampio pluralismo di competenze e approcci analitici. All’interno di questa 35° edizione è presente anche un contributo del Centro Astalli sui flussi dei migranti forzati (“Flussi forzati in crescita globale, contrazione europea: il paradosso migratorio” pp. 131-137)

Secondo le stime Onu al 2024, i migranti internazionali (coloro che vivono da più di 1 anno in un Paese diverso da quello di residenza abituale) sono 304 milioni, pari al 3,7% della popolazione mondiale, quasi il doppio di trent’anni fa. La principale meta è l’Europa (con oltre 100 milioni), seguita da Asia (85 milioni) e Nord America (79 milioni). Si tratta di una mobilità generata dall’intreccio di disuguaglianze economiche, dinamiche demografiche, crisi climatiche e politiche, conflitti e reti sociali.

Alla frattura derivante dai divari demo-economici si sommano guerre, crisi e carestie: nel 2024 ben 673 milioni di
persone soffrono la fame e oltre 2,3 miliardi vivono in insicurezza alimentare, mentre l’Africa resta stretta nella morsa
del debito (1,8 trilioni di dollari a fronte di 10 trilioni di Pil).
Mai, dagli anni Cinquanta, i conflitti sono stati così numerosi: secondo l’Università di Uppsala si contano almeno 61 guerre tra Stati e 74 conflitti interni. Alle guerre protratte in Siria (6,0 milioni di rifugiati), Afghanistan (5,8 milioni) e Ucraina (5,1 milioni), che continuano a generare esodi forzati anche a distanza di anni, si aggiungono nuove emergenze come quella in Sudan (11,6 milioni di sfollati interni).
Il risultato è un nuovo record di 123,2 milioni di migranti forzati per persecuzioni, violenze o disastri ambientali, di cui la maggioranza è costituita da sfollati interni (73,5 milioni). Tra chi è riuscito ad attraversare le frontiere, 31,0 milioni sono rifugiati e 8,4 milioni richiedenti asilo. A fine anno si contano, inoltre, quasi 10 milioni di sfollati climatici, registrati a parte e privi di tutele ufficiali, benché una importante sentenza della Corte internazionale di giustizia dell’Onu (luglio 2025) abbia riconosciuto il principio di non refoulement per chi subisce “impatti sproporzionati” della crisi climatica.

Nel 2024 gli attraversamenti irregolari verso l’Ue sono stati 240.021, in calo rispetto al 2023 (-37,1%) ma ancora quasi il doppio dei livelli pre-pandemici. Le rotte più “trafficate” restano il Mediterraneo centrale (27,9%) e quello orientale (29,1%), mentre crescono i flussi verso le Canarie e lungo i confini orientali con Bielorussia e Russia. Nei primi sei mesi del
2025 gli attraversamenti si sono ridotti a 75.867, ma il calo riflette più l’irrigidimento dei controlli e gli accordi di contenimento che una reale diminuzione delle cause di fuga.
L’Unione continua a esternalizzare, attraverso intese con Turchia, Egitto e Tunisia, delegando il blocco delle partenze in
cambio di aiuti economici. Nel 2024 si stimano anche 120mila respingimenti illegali. L’approccio securitario di Ue e Frontex, centrato sul contenimento degli “arrivi irregolari”, elude la questione di fondo: l’assenza di vie legali e sicure di accesso alla protezione, che alimentano il traffico di esseri umani e le tragedie in mare.

Nonostante gli ostacoli frapposti all’ingresso, nel 2024 l’Ue ha ricevuto 997.815 richieste di protezione internazionale (di cui 83.425 reiterate). Intanto, il numero complessivo di rifugiati e richiedenti asilo residenti ha superato gli 8,9 milioni, pari al 2,0% della popolazione dell’Unione. Le 437.910 protezioni concesse (di cui 387.645 in prima istanza e 50.265 in appello) nascondono però forti squilibri che mettono in discussione l’equità del Sistema europeo comune di asilo (Ceas). Ad esempio, oltre il 75% delle domande si concentra in pochi Paesi (Germania 250.615, Spagna 166.175, Italia 158.605 e Francia 157.945), mentre Stati come Malta, Lituania, Slovacchia o Ungheria ne registrano meno di 1.000 ciascuno. Quanto al rapporto tra rifugiati/richiedenti asilo e popolazione residente, spiccano invece Cipro 7,5%, Germania 3,7%, Repubblica Ceca 3,6%, Austria 3,4%.
Anche i tassi di riconoscimento sono estremamente disomogenei: si va dal 95,7% dell’Estonia all’1,0% del Portogallo,
passando per l’Italia (35,9%) e la Germania (53,4%). Di fatto, il destino di una domanda dipende anche dal Paese in cui viene presentata: una vera e propria “lotteria migratoria”, dove a contare è la geografia oltre che il diritto.

In questo quadro, il nuovo Patto su migrazione e asilo (approvato nel 2024 e in attuazione entro giugno 2026) rafforza un’impostazione securitaria nei confronti delle migrazioni forzate: procedure accelerate di frontiera da concludersi ordinariamente in 12 settimane, ampliamento del concetto di “Paese terzo sicuro” e solidarietà flessibile tra Stati membri attraverso ricollocamenti opzionali e sostituibili con contributi finanziari. Inoltre, concentrando la responsabilità sui Paesi di primo ingresso (Italia, Grecia, Spagna e Cipro in primis), il Patto rischia di acuire le disparità tra Stati.
Mentre la Commissione europea segnala l’adozione di politiche ancora più restrittive in 17 Stati membri, Unhcr e diversi Relatori speciali Onu esprimono preoccupazioni sul rischio di detenzione sistematica nelle aree di frontiera, scarso accesso a procedure eque e individuali, rimpatri “volontari assistiti” imposti.
Nonostante questi allarmi, a maggio 2025 l’Italia e altri otto Paesi membri hanno chiesto una revisione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) per rafforzare la sovranità dei singoli Stati su rimpatri e gestione migratoria. Il Consiglio d’Europa, per voce del Segretario generale Alain Berset, ha però replicato che indebolire le tutele fondamentali dei migranti significa mettere a rischio lo stato di diritto per tutti i cittadini.

In controtendenza con l’aumento dei migranti forzati nel mondo, l’Italia registra un calo degli arrivi non programmati,
esito di politiche di controllo e deterrenza che deviano i flussi, li rendono meno visibili e concorrono a restringere l’accesso alla protezione internazionale.
Nel 2024 gli arrivi via mare sono stati 66.317 (-57,9% sul 2023). Il Memorandum Italia-Libia, nonostante gli “orrori indicibili” (Onu) subiti nel Paese nordafricano dai migranti in transito, ha continuato a fornire risorse alla cosiddetta Guardia costiera libica, che ha riportato indietro, verso condizioni di detenzione disumane, almeno 22mila persone. La cooperazione con la Tunisia, rafforzata dal Memorandum con l’Ue del 2023, ha conosciuto un inasprimento: le autorità locali hanno intercettato oltre 80mila persone, molte delle quali abbandonate poi in aree desertiche senza alcuna tutela. L’irrigidimento dei blocchi non ha inciso, invece, sulla mortalità. La rotta del Mediterraneo centrale rimane la più
pericolosa, con almeno 24.585 morti o dispersi nell’ultimo decennio, di cui 1.810 solo nel 2024.

Lungo la rotta balcanica Frontex indica una drastica riduzione del flusso di migranti (21.520, -78% sul 2023). Tuttavia, il monitoraggio di International Rescue Committee e Diaconia valdese, che a Trieste ne ha intercettati 13.460 (-16% sul 2023), attesta un quadro in cui l’irrigidimento dei controlli, più che scoraggiare le partenze, ha reso i viaggi più invisibili e
costosi (anche in termini umani).
I canali di viaggio legali e sicuri, d’altra parte, restano pochi e limitati. La protezione temporanea attivata per i profughi in fuga dall’Ucraina non ha aperto un reale dibattito sulla possibilità di adattare il modello al resto dei flussi originati da guerre. A dieci anni dall’avvio, i corridoi umanitari hanno coinvolto meno di 10mila beneficiari (825 nel 2024) e, nonostante la sostenibilità, non ci sono segnali di passaggio a una politica nazionale e strutturale.

Ai blocchi di accesso al territorio si affianca la restrizione dei canali per il riconoscimento della protezione. Secondo i dati di Eurostat, nel 2024 l’Italia ha registrato 158.605 domande di asilo, di cui 7.485 reiterate (4,7%). L’incremento sul 2023 (+28.040), nonostante il calo degli sbarchi, si deve agli effetti ritardati dei flussi precedenti e a ingressi meno visibili, come quelli via terra o aerea.
Le decisioni in prima istanza sono state 78.565, di cui 28.185 positive: 11.455 per protezione speciale, 10.730 per protezione sussidiaria e 6.000 per asilo. Il tasso di riconoscimento (35,9%) è molto inferiore alla media Ue (51,4%), anche per l’impatto di misure che riducono le possibilità di un esame approfondito, come le procedure accelerate che sono state applicate in 24.865 casi, un quarto del totale europeo (24,5%). Le decisioni finali (13.530) hanno avuto esito positivo nell’84,7% dei casi.
Alla fine dell’anno le domande pendenti erano ben 207.285 (contro le 147mila del 2023): segno di una pressione crescente ma, soprattutto, dell’incapacità di garantire tempi di risposta adeguati a causa delle croniche disfunzioni
dell’apparato amministrativo, che inficiano gravemente anche l’accesso alle questure per la presentazione e formalizzazione della domanda.

L’attuazione del Protocollo Italia-Albania ha previsto l’apertura di due centri in territorio albanese, equiparati a zone
di frontiera italiane, dove espletare le procedure accelerate (e i relativi trattenimenti in regime derogatorio). Nel 2024 in Italia erano attivi 9 Centri per il rimpatrio. Storicamente, la percentuale di rimpatri sul totale dei reclusi si è aggirata attorno al 50%, salvo scendere al 43,0% nel 2024, secondo i dati provvisori. La detenzione amministrativa si conferma, dunque, largamente inefficace oltre che drammaticamente lesiva dei diritti.

I migranti accolti, inclusi i titolari di protezione, sono lo 0,2% della popolazione italiana: i numeri smentiscono l’enfasi allarmistica, eppure, in assenza di un’adeguata programmazione, si assiste al progressivo svuotamento del modello virtuoso dell’accoglienza diffusa (Sai) e all’ulteriore rafforzamento – per numero e affollamento – delle strutture straordinarie (Cas), in cui sono stati ridotti i servizi e si può derogare ai parametri di capienza fino al doppio dei posti previsti. E così, dei 139.141 migranti “accolti” alla fine del 2024, solo 37.678 erano inseriti nel Sai.
Preoccupa, in particolare, la condizione dei minori stranieri non accompagnati (msna). Degli oltre 16mila censiti al 30 giugno 2025, il 16,3% era in strutture di prima accoglienza, il 62,8% in centri di seconda accoglienza e il 20,8% presso famiglie. Solo il 12,0% dei msna in prima accoglienza era nelle strutture governative loro dedicate, mentre il 33,3% era in Cas per minori, il 6,8% nei Cas per adulti e il 47,9% in altre strutture di carattere emergenziale, dove è più alto il rischio di
sovraffollamento e promiscuità.

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