Da 20 anni con le famiglie rifugiate

Il Centro Pedro Arrupe accoglie da più di venti anni famiglie rifugiate provenienti da oltre cinquanta Paesi differenti, nella maggior parte dei casi, in fuga da guerre, crisi umanitarie o persecuzioni. In alcuni periodi storici il centro è stato
un esatto termometro dell’innalzamento della conlfittualità etnica e politica verificatesi in diverse regioni geopolitiche del pianeta.
Nei primi anni 2000, in seguito alla guerra nei Balcani, sono state accolte per esempio diverse famiglie kosovare. Mentre dalla Turchia sudorientale arrivavano famiglie curde, spesso numerose, conseguenza delle politiche repressive attuate in quel Paese, e forse anche per il rilievo internazionale avuto dall’Italia nell’affaire Ocalan.
Negli anni successivi, il riacutizzarsi dei conlfitti armati interni alla Colombia, insieme alla particolare congiuntura internazionale, hanno favorito il percorso migratorio di famiglie richiedenti asilo e rifugiate provenienti dal Paese sudamericano.
Nel crogiolo di lingue parlate nel centro, l’amarico o il tigrino non sono quasi mai mancati, indizio della presenza di genitori e figli provenienti dall’Etiopia e dall’Eritrea.
Sempre dal Corno d’Africa, in misura inferiore, sono stati diversi i nuclei accolti provenienti dalla Somalia.
Negli ultimi dieci anni, invece, una delle nazionalità più presenti è quella nigeriana, soprattutto con nuclei monoparentali composti da donne sole con bambini piccoli, che molto spesso nel loro percorso migratorio sono state vittima di violenza o tratta.
Infine, nell’atlante del centro Arrupe di questi vent’anni, diverse pagine sono state scritte da donne e uomini provenienti dal Medio Oriente.
Famiglie in fuga dal regime iraniano, dalle guerre in Iraq, in Afghanistan e in Siria, si sono ritrovate a vivere insieme un periodo della loro vita, durante il quale hanno provato a riprendersi dai traumi vissuti e hanno iniziato il difficile percorso per ritornare a progettare il proprio futuro.
Accompagnare un nucleo familiare verso l’autonomia è un compito molto complesso, poiché ogni famiglia porta con sé i diversi bisogni e le aspettative dei vari componenti, come anche le differenti risorse e potenzialità.
La sfida che si rinnova a ogni ingresso è quella di costruire insieme al nucleo un progetto familiare che tenga presente tale complessità ma che allo stesso tempo consenta di avere delle opportunità concrete di riuscita.
Mutuando i tre pilastri della missione del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, accompagnare, servire, difendere possiamo evidenziare in tre concetti chiave le criticità e le strategie utilizzate nel percorso di accoglienza delle famiglie rifugiate: vulnerabilità, burocrazia, autonomia.

Servire quotidianamente la crescente vulnerabilità delle famiglie, sostenere i genitori di minori con disturbi cognitivi o dell’apprendimento, con gravi patologie o persino in attesa di un trapianto, impone una rilfessione sulla natura stessa del servizio di accoglienza, e sulla necessità di creare reti e facilitare l’accesso ai servizi territoriali, per rispondere in maniera più efficace ai bisogni e alle criticità di cui il nucleo è portatore.

Difendere richiedenti asilo e rifugiati dalla burocrazia vuol dire affrontare spesso numerosi ostacoli amministrativi, perciò sono divenuti sempre più decisivi nel percorso verso l’autonomia di un nucleo un supporto diretto ma anche un’azione di mediazione e interlocuzione con le istituzioni e gli uffici del territorio.

È da sottolineare inoltre come accompagnare una famiglia rifugiata verso l’autonomia debba basarsi principalmente sulla costruzione di relazioni di fiducia e reciprocità con gli operatori. Infatti la partecipazione attiva dei rifugiati alla definizione e alla realizzazione del progetto familiare è fondamentale per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Per tale motivo l’accoglienza dovrebbe essere emancipante, e avere il fine di liberare le famiglie dal bisogno stesso di accoglienza.

Stefano Tancredi
coordinatore centro d’accoglienza