Prendersi cura tra ascolto e comunità. Il diritto alla salute per i rifugiati
Ho incontrato il Centro Astalli, quasi per caso, una ventina di anni fa e da allora non ci siamo più lasciati. Il mio primo incontro con gli immigrati irregolari era avvenuto in un ambulatorio arrangiato in locali occupati abusivamente a Piazza Vittorio, invitato da un amico con cui avevo condiviso un’attività tra il medico e il politico con gli operai della Tiburtina. Gli operai non ci sono più, mi disse, ora ci sono tanti immigrati che non hanno l’assistenza sanitaria e io cerco di aiutarli in qualche modo. Vieni a dare una mano.
Un giorno, mentre cercavo di capire i percorsi degli immigrati, un ragazzo africano mi disse che alla stazione un altro africano gli aveva detto: vai a Piazza Venezia, lì troverai chi ti aiuta. Non capii bene dove il ragazzo era stato indirizzato, ma un altro volontario mi spiegò: vicino a Piazza Venezia c’è il Centro Astalli, dove i gesuiti hanno organizzato una struttura che aiuta tutti quelli che hanno bisogno; nel gergo degli immigrati “andare a Piazza Venezia” vuol dire andare al Centro Astalli, qualche volta questa indicazione la danno anche i vigili urbani e i poliziotti.
Un giorno ci andai anch’io, superai una lunga fila di immigrati, scesi una scala ripida, mi presentai e qualcuno mi chiese che lavoro facevo e se conoscevo qualche lingua straniera.
Risposi: il medico, e conosco bene il francese; fui avviato rapidamente in una stanza attrezzata con un lettino da visita e qualche strumento medico e mi fu mandato un giovane della Costa d’Avorio. Scoprii che nella stanza accanto c’era un farmacista che gestiva un armadio pieno di medicinali.
Raccontare questi anni non è facile: troppe sono le esperienze, troppi gli incontri professionali, ma soprattutto umani.
Provo a rispondere a una domanda, cosa ho imparato dai mille incontri avuti in questi anni:
• lo stretto rapporto che c’è tra salute e condizioni sociali (alloggio, alimentazione, studio, lavoro) fa sì che nessuno possa affrontare da solo i problemi delle persone che si rivolgono a noi. Al Centro Astalli il medico non è mai da solo, ha sempre accanto un operatore sociale, un mediatore linguistico culturale, un operatore giuridico, un collega più esperto cui chiedere consiglio;
• molte delle persone che incontriamo hanno subito violenze estreme e hanno perso fiducia negli esseri umani. Ogni atto, anche apparentemente insignificante, è importante per conquistare un rapporto di fiducia: essere puntuali agli appuntamenti, sedersi qualche attimo dopo l’assistito, guardarlo negli occhi, spegnere il telefonino e, soprattutto, tacere e ascoltare.
I medici sono spesso abituati a fare poche domande e, quando hanno gli elementi per fare una diagnosi o per prescrivere degli esami, tagliano corto e interrompono il malato. Con i rifugiati è diverso: le notizie escono lentamente e con difficoltà, molte volte ricordare le violenze subite o quelle a cui si è assistito causa momenti di angoscia. Bisogna imparare l’arte dell’ascolto del silenzio. Il mio record è stato 5 minuti d’orologio, ne sono molto orgoglioso e lo racconto sempre. Le prime parole che mi sono state dette e che hanno introdotto una lunga serie di ricordi dolorosi fino ad allora inespressi, sono state: io parlo con lei perché ha l’età che avrebbe mio padre se non l’avessero ucciso davanti a me;
• ho potuto sperimentare come il Centro Astalli ha costruito con la ASL Roma 1 un modello molto interessante di integrazione tra ente pubblico e organizzazione del privato sociale, che prende vita nel SaMiFo, che ha pochi eguali in Italia e che supera il sistema degli appalti.
Spesso nel volontariato ho conosciuto organizzazioni che hanno un forte spirito di bandiera e richiedono fedeltà; ad Astalli non mi è stato chiesto nulla delle mie idee politiche e religiose; quando mi è stato proposto di scrivere questo contributo mi è stato detto: “scrivi quello che vuoi”.
Mi sono sentito come se avessi superato un esame: ora so che potrò venire ancora a lungo al SaMiFo a capire qualcosa di più sulla medicina, sulla società e su me stesso.
CARLO BRACCI
medico legale