GEOGRAFIA

Il Venezuela, situato nell’America Meridionale, è delimitato a nord dal Mar dei Caraibi, ad est confina con la Guyana, a sud e a sud-est con il Brasile, a ovest e a sud-ovest con la Colombia.
Il territorio è interessato da tre grandi unità morfologiche: la Cordigliera delle Ande, di cui comprende l’estrema sezione nord-orientale; il bassopiano alluvionale dell’Orinoco; una vastissima porzione dell’Altopiano della Guiana.
Benché il Paese si estenda tra l’equatore e il parallelo 12° N, e quindi nella zona climatica equatoriale, il suo quadro climatico è piuttosto diversificato. Le precipitazioni sono molto abbondanti sui versanti esterni delle catene andine (Mérida, 1700 mm; ma nella regione si superano anche i 2000 mm) e sull’Altopiano della Guiana (fino a 2500 mm), mentre sono scarsissime nella sezione occidentale della costa caribica (Maracaibo, 300 mm).

ECONOMIA

Il Venezuela possiede alcuni tra i più grandi giacimenti di petrolio del mondo, nonché enormi quantità di carbone, ferro, bauxite, diamanti e oro. Eppure, la maggior parte della popolazione venezuelana vive in povertà, spesso in baraccopoli. Tra i gravi problemi economici che assillano il Paese, di primaria importanza è la dipendenza dal petrolio, che rappresenta la fonte primaria e quasi esclusiva dei proventi da esportazione. A livello mondiale, lo sviluppo di nuove e più efficienti tecnologie estrattive ha prodotto un aumento della produzione di petrolio, a cui però non è corrisposto un aumento della domanda, che è invece rimasta sostanzialmente stabile, determinando così un surplus che ha fatto crollare il prezzo del greggio, dai 100$ al barile del 2014 ai 50$ verso la fine dello stesso anno. La Petróleos de Venezuela, S.A. (PDVSA), la compagnia petrolifera statale, dall’insediamento di Maduro come presidente non ha effettuato investimenti per individuare nuovi giacimenti di petrolio e migliorare il proprio livello tecnologico e ammodernare i propri impianti. Per tale ragione, il costo di estrazione del petrolio in Venezuela è più alto del suo costo di vendita al livello internazionale.

Il Venezuela è il paese con il più alto volume di riserve accertate di petrolio al mondo. Tuttavia, questa opportunità si è trasformata in un elemento di forte vulnerabilità: il petrolio assicurava il 77% dei proventi totali da esportazione nel 1997, rappresentava il 90% nel 2006, oggi supera il 96%. Un’economia dominata e dipendente dal petrolio significa anche che gli investimenti pubblici e, in particolare, quelli nel settore petrolifero, sono l’ossatura del modello di sviluppo, che non ha forza di traino in una fase di bassi prezzi del greggio. La crisi economica ha, inoltre, causato il cosiddetto fenomeno della iperinflazione, che ha condotto la Banca centrale venezuelana a vendere le proprie riserve valutarie. Il Bolivar fuerte, la moneta nazionale, ha perso rapidamente valore e la banca centrale ha iniziato a stampare e mettere in circolazione nuove banconote di nuovi tagli. La perdita di valore della moneta locale ha reso le importazioni dall’estero insostenibili, causando la carenza di generi alimentari e medicinali, generando una crisi umanitaria senza precedenti. Il salario minimo ufficiale in Venezuela è, infatti, di 6 dollari americani al mese. Ciò ha determinato una lunga fase di recessione, con una forte limitazione delle importazioni, e la conseguente erosione della capacità produttiva del Paese. Le distorsioni associate all’iperinflazione si riflettono sull’economia reale – cioè la vita economica direttamente collegata alla produzione e alla distribuzione di beni e servizi – alterando gli equilibri politici e sociali del sistema in termini di distribuzione dei redditi, scoraggiando gli investimenti, con gravi conseguenze sui livelli di reddito nazionale e di occupazione, e inasprendo così la crisi. Per questi motivi le imprese estere hanno chiuso o stanno chiudendo gli stabilimenti, come dimostra la situazione delle case automobilistiche.

In coincidenza con l’aggravarsi della crisi economica e politica del paese latino-americano, la Cina ha interrotto la concessione di prestiti al Venezuela. Per la prima volta in quasi un decennio, dal 2017 e per tutto il 2018, le banche istituzionali cinesi non hanno aperto nuovi crediti a Caracas: un indicatore che risponde alla crescente preoccupazione del gigante asiatico sulla sostenibilità dei suoi investimenti e sulla capacità del governo di Nicolás Maduro di restituire il prestito. Il Paese, che ha promesso di restituire i prestiti tramite petrolio, ha incontrato serie difficoltà nel rispettare i propri obblighi negli ultimi anni di fronte al calo dei prezzi del petrolio e alla diminuzione della produzione.

Ad aggravare ulteriormente la situazione sono le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti. Il governo americano ha attuato misure per impedire alla compagnia petrolifera di stato venezuelana di esportare petrolio grezzo negli Stati Uniti, petrolio che una volta raffinato viene rivenduto al Venezuela. Avendo solo raffinerie antiquate, il Venezuela ha infatti necessità di vendere e poi ricomprare il suo petrolio alle raffinerie statunitensi, che sono le uniche, nel continente americano, in grado di trattare il greggio venezuelano.

Le sanzioni però imposte dal Presidente Trump nel 2017 sul debito statale del Venezuela hanno di fatto vietato ogni tipo di transazione economica con Caracas, comportando un isolamento economico e finanziario che ha fortemente gravato sull’economia e sulla società, causando l’enorme spinta migratoria venezuelana.

Un ulteriore fattore di spinta è stata l’iperinflazione e il conseguente crollo del potere d’acquisto dei beni primari che hanno provocato una gravissima crisi umanitaria. Secondo la Banca mondiale, ad agosto 2022, il Venezuela aveva il terzo tasso d’inflazione più alto per i beni alimentari del mondo. A dicembre la situazione vede un netto peggioramento a causa di una drastica svalutazione della moneta nazionale.
Un altro gravissimo problema presente in tutto il Paese è la presenza delle attività illegali che costituiscono circa il 21% del PIL del Venezuela. Il traffico di droga, petrolio, oro e organi hanno prodotto oltre 9,4 miliardi di dollari intascati dal crimine organizzato col benestare di funzionari corrotti. La massiccia presenza di attività criminali sul territorio genera uno stato perenne di violenza tra i più gravi al mondo.

Nel 2022 sono stati però rilevati dei piccoli segnali di ripresa economica: il PIL ha subito un aumento del 17%. Nonostante questo aumento che potrebbe far sperare in una crescita economica più ampia, permangono dei gravi problemi sui servizi pubblici essenziali, trasporti, istruzione e sanità. La permanenza delle sanzioni economiche continua a rallentare fortemente la ripresa dell’economia del Venezuela. L’inflazione e la svalutazione del bolivar continua a far crollare il valore degli stipendi e delle pensioni. Il governo in corso ha dato vita ai Comitati locali per l’approvvigionamento e la produzione (CLAP) che forniscono gli alimenti di base a oltre 6 milioni di persone, anche se permane la difficoltà da parte della popolazione di reperire gli alimenti necessari per un’alimentazione equilibrata.

INDICI DI SVILUPPO DEMOGRAFICO

CONTESTO STORICO

Dal colonialismo all’indipendenza

Il territorio era abitato in origine dagli indi Caribi e Aruachi e venne raggiunto da Cristoforo Colombo nel suo terzo viaggio (1498), quando il navigatore genovese si inoltrò verso la foce a delta del fiume Orinoco. Il Venezuela fu oggetto di un fallito tentativo di colonizzazione da parte dei banchieri di Augusta Welser, cui l’imperatore Carlo V aveva concesso nel 1528 i diritti di esplorazione e amministrazione. Intorno alla metà del Cinquecento divenne un dominio della Corona spagnola. Sfruttato soprattutto per le sue risorse agricole, esso fu governato secondo uno schema rigidamente gerarchico che collocava al vertice l’aristocrazia spagnola e i possidenti creoli e alla base i meticci, gli schiavi neri e gli Indios. I colonizzatori spagnoli diedero avvio alle esportazioni verso la madrepatria di cacao, indaco e tabacco, e nel 1728 fu creata la Real Compañía Guipuzcoana, che deteneva il monopolio del commercio nella regione. Nel XVIII secolo, sull’onda dei moti dell’indipendenza statunitense e della Rivoluzione francese, incominciarono a sorgere i primi gruppi organizzati che diffondevano l’idea di un’indipendenza dalla madrepatria. L’impero iniziò a vacillare già nel 1795, quando ci fu la prima vera rivolta di massa, guidata dallo schiavo José Leonardo Chirino. Numerosi furono i tentativi di rivolta che vennero sedati con il sangue al fine di scoraggiare ulteriori moti.

Nel 1806, Francisco de Miranda provò per ben due volte a liberare il Venezuela dai colonizzatori spagnoli, oramai visti quasi come degli invasori da parte della popolazione creola (termine che indicava gli spagnoli nati però nei territori colonizzati). I creoli, avevano sviluppato un forte senso della Patria nei confronti del Venezuela, mentre non sentivano propria l’appartenenza alla madrepatria spagnola. Il 19 aprile del 1810 ebbe così inizio la rivoluzione venezuelana, nella quale il rappresentante di Madrid in Venezuela, Vicente Emparan, fu destituito. Nacque il primo organo politico indipendente, la Giunta Suprema di Caracas. Il 5 luglio 1811 fu dichiarata l’indipendenza dalla Spagna e la nascita della Prima Repubblica del Venezuela, il cui potere venne assunto da un triumvirato composto da Cristóbal Mendoza, Juan Escalona e Baltasar Padrón. In quello stesso anno venne redatta una Costituzione, che limitava in base al censo il godimento dei diritti politici e manteneva in vita la schiavitù. La prima repubblica si trovò fortemente indebolita da contrasti sociali che portarono i pardos (termine con il quale venivano identificate le persone con una discendenza multirazziale, perlopiù figlie di schiavi di origine africana, indigena ed europea) a fianco degli spagnoli, i quali riuscirono a contrattaccare vittoriosamente. La vittoria definitiva della rivoluzione fu per opera di Simón Bolívar, che, ottenuto l’appoggio dei pardos, sconfisse gli spagnoli nel 1821 nella battaglia di Carabobo. Il paese ottenne l’indipendenza nel 1821, sotto la guida di Simon BolívarIl Venezuela entrò a far parte della federazione della Grande Colombia, formata anche da Ecuador, Nuova Granada e Perú. Bolívar sognava di unire l’intero Sudamerica ispanico ma, nonostante la nascita di una prima grande repubblica, al termine della guerra di liberazione, l’obiettivo era sostanzialmente fallito. Sconfitto il nemico comune, in seno al grande territorio colombiano affiorarono tensioni e sentimenti federalisti, al punto che Bolìvar rassegnò le dimissioni da presidente della Grande Colombia il 4 maggio 1830. Approfittando delle tensioni interne, il separatista José Antonio Páez proclamò l’indipendenza del Venezuela una prima volta nel 1826 e, in modo definitivo, nel 1830.

La repubblica indipendente

Per tutto il corso dell’Ottocento il Paese rimase sotto il controllo di una oligarchia, che trovò la propria espressione nel partito conservatore e in quello liberale. Il sistema politico, chiuso alle istanze popolari, restò sotto la tutela di questi due partiti e del ceto militare, che si contesero il potere. Il regime autoritario di Páez perdurò fino al 1846 e poggiò prevalentemente sull’ala agraria dell’oligarchia. Durante questo governo, l’economia conobbe un certo slancio grazie alle esportazioni del caffè. Tra il 1846 e il 1858, il Venezuela conobbe la dittatura di due generali, i fratelli José Tadeo e José Gregorio Monagas, i quali ottennero il congiunto sostegno dei militari e dell’oligarchia commerciale. Nel 1854 venne formalmente abolita la schiavitù.

Tra il 1858 e il 1863 si aprì un lungo periodo caratterizzato da guerre civili, la prima delle quali avvenne a causa dell’aspirazione della fazione liberale di trasformare il Venezuela in una repubblica federale secondo l’esempio nordamericano. Aspirazione che venne portata a compimento nel 1864 con la proclamazione degli Stati Uniti del Venezuela.
Una seconda guerra civile iniziò tra il 1868 e il 1870 e venne provocata dallo stato di anarchia determinatosi nelle repubbliche federate in un periodo di acuta crisi economica che portò al potere il liberale Antonio Guzmán Blanco. Il dittatore Blanco, che rimase al potere fino al 1888 intraprese una significativa opera di modernizzazione, aprendo il paese al capitale straniero, allargando la rete dei trasporti, laicizzando il regime matrimoniale e l’istruzione elementare, resa obbligatoria. Nel 1899 salì al potere il generale Cipriano Castro, che, rimasto in carica sino al 1908, instaurò il predominio dei militari di origine andina, soffocò nel sangue un tentativo rivoluzionario (1901-1903) e si trovò ad affrontare un blocco navale anglo-tedesco-italiano dovuto al mancato pagamento di alcuni crediti. A lui seguì il suo luogotenente Juan Vincente Gómez, che governò sino al 1935, poggiando sul ceto militare. Gomez promosse un colpo di Stato e instaurò un proprio governo dittatoriale durato 27 anni. Se da un lato la stabilità politica attirò investitori petroliferi stranieri, dall’altro Gómez abolì l’attività politica organizzata, imbavagliò la stampa e soffocò l’opposizione con un elaborato servizio di spionaggio e con arresti arbitrari, esili e assassinii. Alla morte di Gómez, nel 1935, la presidenza fu assunta dal ministro della guerra Eleazar López Contreras, seguito dal generale Isaías Medina Angarita nel 1941. In questi anni furono in parte garantite le libertà di associazione, stampa ed espressione. Medina consentì una relativa libertà alle opposizioni, fra cui il partito di Azione Democratica, che aveva trovato un leader di rilievo in Rómulo A. Betancourt, un democratico riformista. In assenza di un accordo su chi sarebbe stato il successore di Medina, Azione Democratica si alleò ad un gruppo di ufficiali dell’esercito, tra cui il colonnello Marcos Pérez Jiménez, e nel 1945 organizzò un colpo di stato. Per la prima volta nella storia del Venezuela fu un partito politico a prendere il potere, sostenuto dalla maggioranza della popolazione. Rovesciato Medina, si instaurò una giunta governativa civico-militare presieduta da Betancourt, dando così inizio al triennio adeco-betancourista.

Da Betancourt a Chávez (1947-2012)

Nel 1947, vennero varate riforme che aprirono la strada alla legislazione sociale e al processo di democratizzazione del Venezuela. Venne scritta una nuova Costituzione di matrice democratica e venne concesso il suffragio universale. Betancourt rivide la politica petrolifera al fine di assicurare allo Stato almeno il 50% degli introiti. Gli interessi petroliferi e l’ostilità ai piani di riforma agraria determinarono nel 1948 un colpo di stato militare che introdusse un regime reazionario, segnato fino al 1952 da instabilità e aspri conflitti interni ai quali pose fine la dittatura del colonnello Marcos Pérez Jiménez. Egli attuò una politica repressiva che beneficiava degli ingenti proventi derivanti dal petrolio e dal considerevole appoggio degli USA. Nel 1958, in un periodo di caduta del prezzo del petrolio e in un clima di acuti contrasti sociali, la sua dittatura ebbe fine, portando alla restaurazione della democrazia. Alle nuove elezioni vinse nuovamente Betancourt che promulgò una nuova Costituzione (1961) e avviò alcune moderate riforme agrarie, aumentò i salari e avviò un piano di opere pubbliche. Nel 1968 le elezioni furono vinte dal social-cristiano R. Caldera Rodríguez, il quale mise in atto un piano di nazionalizzazione nel settore petrolifero e legalizzò il Partito comunista, stabilendo inoltre relazioni diplomatiche con l’URSS. Questa politica di difesa degli interessi nazionali in campo petrolifero nei confronti di quelli statunitensi proseguì col suo successore Carlos Andrés Pérez, esponente di Azione democratica (1974-78). Durante il governo Pérez, l’amministrazione poté beneficiare dell’aumento del prezzo internazionale del petrolio, consentendo una politica moderatamente progressista che portò alla nazionalizzazione delle industrie del ferro (1975) e del petrolio (1976). A partire dal 1980 le condizioni economiche peggiorarono; la crisi fu affrontata dal governo del social-cristiano L. Herrera Campins (1979-84) e da quello di J. Lusinchi (1984-89) con impopolari quanto inefficaci misure di austerità, mentre nel Paese riprendevano la protesta sociale e la minaccia del terrorismo di sinistra. Entrambi i presidenti dovettero far fronte ad una situazione economica resa sempre più difficile dalla discesa del prezzo del petrolio e, inoltre, da una situazione politico-sociale contrassegnata dall’esplodere degli squilibri legati a una caotica urbanizzazione, dall’emarginazione e da una disoccupazione diffusa. Nel 1989 torna alla presidenza Carlos Andrés Pérez, che fu costretto a dimettersi nel 1993 poiché accusato di appropriazione indebita e corruzione. Le successive elezioni furono vinte dall’ex presidente Caldera Rodríguez a capo di una coalizione di centrosinistra, il cui mandato fu caratterizzato da una forte instabilità sociale e da una grave crisi finanziaria aggravata dal crollo del Banco Latino. Caldera attuò misure di austerità e avviò la temporanea sospensione di alcune garanzie costituzionali per combattere il crimine organizzato. Nonostante le continue tensioni e agitazioni sociali presenti nel Paese, nel 1997 ottenne sostanziali successi, anche grazie agli aiuti internazionali, ma nel 1998 la crisi finanziaria mondiale riportò il Paese in una situazione molto grave.
Nel 1998 divenne presidente il leader populista H. Chávez Frías, fondatore del Movimiento V República (MVR), carica riconfermata nel 2000. Sotto il suo mandato, l’Assemblea nazionale, istituì una commissione con il compito di destituire i giudici corrotti ed emanò un nuovo regolamento del potere legislativo che sospendeva i poteri del Congresso. Nel 1999 attraverso un referendum, venne approvata una nuova Costituzione che sancì la nascita della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Il Senato venne soppresso e si incrementò il controllo da parte dello Stato delle risorse petrolifere. Chávez, avviò un programma di riforme e una politica estera indipendente appoggiando la guerriglia antigovernativa in Colombia, rilanciando il ruolo dell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries), interrompendo l’embargo petrolifero contro Cuba. In politica estera Chavez continuò a promuovere un’accanita campagna antiamericana e a rafforzare i rapporti con Cuba nel quadro dell’Alleanza bolivariana per le Americhe (ALBA), un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica tra i paesi dell’America latina e dei Caraibi. Nel 2007, dopo la sua terza rielezione presidenziale consecutiva, Chavez lanciò un piano di nazionalizzazione delle industrie strategiche del Paese – tra cui quella energetica e petrolifera – che fu portato a termine l’anno successivo.
In un clima di forte scontro politico e sociale, nell’aprile 2002 un effimero colpo di Stato civile-militare rovesciò per poco più di 48 ore il presidente. Tornato al potere, Chávez riconquistò l’appoggio delle classi più povere e nel dicembre 2006 fu rieletto con oltre il 60% dei consensi. Nel 2009, Chávez riuscì a far approvare un pacchetto di emendamenti costituzionali, grazie al quale fu ulteriormente rafforzato il suo potere. La sua carica presidenziale venne confermata nelle elezioni del 2010 e successivamente in quelle del 2012. Il presidente Chávezmorì nel marzo del 2013, assunse la carica ad interim il suo vice Nicolás Maduro, che alle consultazioni tenutesi nel mese successivo venne eletto nuovo presidente del Paese.

Dall’elezione di N. Maduro alla situazione attuale

A seguito della morte di Chávez, la vittoria di misura di Maduro alle elezioni presidenziali tenutesi nell’aprile 2013, con il 50,66% dei voti contro il 49,07% di Henrique Capriles Radonski, ha avviato una stagione di crescente tensione politica, con l’immediata contestazione dei risultati elettorali per presunti brogli, e di progressivo sgretolamento del consenso elettorale di Maduro. La presidenza Maduro ha dovuto affrontare un periodo complesso della storia venezuelana, segnato da una grave crisi economica acuita, nel 2014, dal crollo del prezzo del petrolio. Essa ha determinato una devastante crisi sociale: in quell’anno iniziarono a scarseggiare i beni primari, come cibo e medicinali, e vennero imposti razionamenti idrici ed energetici. Migliaia di cittadini venezuelani emigrarono dal Paese. Nel febbraio del 2014 violente proteste di piazza causarono decine di vittime e l’incarcerazione di alcuni esponenti dell’opposizione, tra cui il leader del partito Voluntad Popular Leopoldo Lopez, condannato a 13 anni di detenzione. I segnali preoccupanti di una escalation del conflitto interno hanno portato Maduro a rafforzare i legami con i vertici delle Forze armate e a imporre una forte limitazione alla libertà di dissensostampa e comunicazione. Dimostrazioni in tal senso, sono stati gli arresti arbitrari degli oppositori di destra, il blocco di Twitterl’espulsione della CNN spagnola e il divieto di ingresso al corrispondente del New York Times a Caracas. A fronte della completa mancanza di prospettive per l’economia venezuelana e delle misure repressive, l’erosione dei consensi nei confronti del governo è stata inarrestabile. Alle elezioni parlamentari del dicembre del 2015 il voto dei venezuelani ha permesso all’opposizione, riunita nella coalizione Mesa de Unidad Democrática (MUD- guidata dal settembre 2014 da Jesus Torrealba e formata al suo interno da 18 partiti), di conquistare il 56,2% dei consensi, ottenendo la maggioranza in Parlamento per la prima volta dopo 17 anni di chavismo. Consapevole del rischio di una sconfitta elettorale, il governo di Maduro aveva provveduto alla nomina di tredici nuovi giudici del Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ). Di fronte ai risultati delle elezioni, Maduro ha inoltrato al Tribunale un ricorso riguardante una presunta compravendita di voti in una circoscrizione del Paese. Il Tribunale lo ha accolto e ha bloccato l’assunzione dell’incarico da parte di tre deputati dell’opposizione, che ha così perso la maggioranza qualificata nell’Assemblea, maggioranza che le avrebbe permesso di approvare proposte di legge contro il parere del presidente.

Dalle elezioni legislative si è aperto un grave scontro istituzionale tra Governo e Parlamento. A partire dal gennaio 2016 la Corte suprema di giustizia, controllata dall’esecutivo, ha emanato una lunga serie di sentenze che hanno dichiarato privi di validità gli atti dell’Assemblea nazionale, ponendo lo stesso Parlamento in uno stato di “insubordinazione”. Ad aggravare la situazione, la decisione del presidente Maduro di dichiarare lo “stato di emergenza economica”, grazie al quale ha potuto attuare drastiche misure di razionamento dell’energia elettrica e attribuire poteri aggiuntivi alle Forze Armate. In una cornice economica e sociale sempre più dissestata, i rapporti tra il Presidente e le forze maggioritarie in Parlamento si sono fatti sempre più tesi e l’8 marzo 2016 Jesús Torrealba, segretario della Mesa de la Unidad Democrática (MUD), ha annunciato l’imminente avvio del meccanismo per la convocazione di un referendum revocatorio contro il presidente Maduro, iter che l’ordinamento venezuelano consente di avviare una volta che sia stata superata la metà del mandato presidenziale. Il 26 aprile il Tribunale, schierato a favore di Maduro, ha bocciato un emendamento costituzionale, approvato in prima lettura, finalizzato a ridurre la durata del mandato presidenziale. Il 30 marzo 2017, la crisi politica venezuelana raggiunge il suo apice quando il TSJ ha esautorato il Parlamento rivendicando il potere legislativo e conferendo al Presidente pieni poteri privi di controllo parlamentare. Sebbene la decisione sia rientrata nel giro di pochi giorni a seguito delle forti pressioni interne ed internazionali, la situazione nel Paese si è fatta incandescente e il Venezuela è finito sull’orlo di una guerra civile. Il 1° maggio 2017 Maduro ha annunciato l’intenzione di convocare un’Assemblea costituente composta da persone scelte tra i movimenti sociali e le circoscrizioni municipali, escludendone dunque i partiti e il Parlamento. La finalità era cambiare la costituzione chavista del 1999 e provare a tracciare un futuro in nome di “nuove forme di democrazia partecipativa”. L’Assemblea costituente era destinata ad avere “poteri sovra-costituzionali“, con il compito di cambiare l’ordinamento giuridico dello Stato e di “aprire una nuova fase di pace, crescita e giustizia”. L’iniziativa, denunciata come incostituzionale ed antidemocratica dall’opposizione venezuelana e da numerosi governi ed organismi internazionali, ha causato una frattura anche all’interno dei “bolivariani chavisti“. Il 30 luglio si sono svolte le elezioni per l’Assemblea costituente, a cui la MUD ha scelto di non partecipare. La neonata Assemblea era quindi unicamente rappresentativa del governo di Maduro, e non è stata riconosciuta né dalla popolazione, né dagli organi internazionali. Nonostante le accuse di manipolazione dei risultati del voto, la Costituente, indifferente alle pressioni della comunità internazionale e della Santa Sede – che ha chiesto ripetutamente la sua sospensione in nome del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali-, nonché della vigente Costituzione, il 4 agosto 2017 si è insediata a Caracas, nella stessa sede che ospita il parlamento controllato dall’opposizione. Nella stessa giornata il MERCOSUR (Mercato comune dell’America meridionale) in una riunione a San Paolo, ha “sospeso in modo indefinito” il Venezuela per il mancato rispetto della “clausola democratica”.
L’Unione europea e gli Stati Uniti non hanno riconosciuto la legittimità dell’Assemblea costituente.
L’8 agosto 2017 si è costituto il “Gruppo di Lima“, composto da 14 paesi dell’America centrale e meridionale e dal Canada, per contribuire al ripristino della legalità democratica in Venezuela.
Il 20 maggio 2018 si sono svolte in Venezuela le elezioni presidenziali che hanno riconfermato Nicolás Maduro con il 68% dei suffragi, in un’elezione segnata dall’affluenza più bassa degli ultimi 50 anni, pari al 46% dei votanti. Le elezioni sono state caratterizzate da denunce di gravi irregolarità da parte delle opposizioni e non sono state giudicate credibili, né dall’OSA (Organizzazione Stati Americani), né dall’Unione europea.
Il 25 giugno 2018 l’Unione europea ha adottato nuove sanzioni  nei confronti di 11 esponenti del Governo venezuelano. Gli Stati Uniti hanno ampliato il regime di sanzioni individuali contro esponenti governativi e hanno esteso anche all’acquisto di asset nazionali il precedente divieto di acquistare titoli di Stato e della compagnia petrolifera PDVSA.
Il 26 settembre 2018 il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione sulle violazioni dei diritti umani in Venezuela. A fine settembre, 6 paesi membri del Gruppo di Lima (Argentina, Cile, Colombia, Paraguay, Perù e Canada) hanno deferito il Venezuela alla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità.
Il 4 gennaio 2019, in vista della cerimonia di insediamento del presidente Maduro, tredici paesi dei quattordici che compongono il cosiddetto Gruppo di Lima (ad eccezione del Messico) hanno dichiarato di non riconoscere la legittimità del nuovo mandato contestando il risultato delle elezioni presidenziali del 20 maggio 2018. Nonostante ciò, il 10 gennaio 2019Nicolás Maduro ha prestato giuramento per un secondo mandato non dinanzi al Parlamento, la cui legittimità non riconosce, ma alla Corte suprema di giustizia. Alla cerimonia non erano presenti rappresentanti di Stati Uniti, Canada, dei Paesi membri dell’Unione europea e della maggior parte dell’America latina. Erano invece presenti quelli di Cina, Russia, Turchia, Nicaragua e Bolivia.
Il 5 gennaio 2019, Il deputato del partito di opposizione Voluntad popular Juan Guaidó è stato eletto presidente dell’Assemblea Nazionale venezuelana. Il 23 gennaio Juan Guaidó ha invocato l’articolo 233 della Costituzione venezuelana e si è proclamato Presidente ad interim del Venezuela. Giurando in Piazza Juan Pablo II, a Caracas, Guaidó ha assunto le funzioni di Presidente della Repubblica in attesa di nuove elezioni. Egli ha agito a fronte della violazione, da parte di Maduro, dei doveri costituzionali del Presidente della Repubblica, disciplinati dall’articolo 236. Guaidó è stato riconosciuto immediatamente dagli Stati Uniti e successivamente da Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Ecuador, Paraguay e Perù. Messico e Uruguay hanno invece espresso una posizione comune a favore di un negoziato. Dichiarazioni di segno opposto sono state rilasciate a livello regionale da Cuba, Nicaragua e Bolivia e a livello internazionale da Russia, Turchia, Iran, oltre a quella, più cauta, di Pechino.
Nel dicembre 2019, Maduro lancia la Operación Alacránuna manovra di corruzione volta a convincere i deputati a non dare il loro sostegno a Guaidó quando sarà rinnovata la presidenza del Parlamento.
Il 5 gennaio 2020, nel giorno in cui era pianificato il voto per la rielezione di Juan Guaidó come presidente dell’Assemblea nazionale del Venezuela, un colpo di mano improvviso getta il Paese nel caos più profondo. Infatti, parte dei deputati chavisti hanno eletto, in un’aula semi-vuota, come nuovo capo del Parlamento, Luis Parra, un dissidente dell’opposizione sostenuto dal Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) del presidente Nicolas Maduro. L’elezione è avvenuta nella completa illegalità in mancanza del quorum sufficiente, mentre Guaidó e i deputati dell’opposizione erano al di fuori del Parlamento, con la polizia che impediva loro di entrare.
gennaio 2020, Guaidò ha rinnovato la sua posizione di Presidente dinnanzi al Parlamento. Di fatto, il Paese sudamericano ha due presidenti dell’Assemblea, espressioni di due gruppi contrapposti.
Il 29 febbraio 2020, un gruppo armato paramilitare ha tentato di assassinare Juan Guaidó mentre partecipava a una manifestazione antigovernativa nello Stato di Lara (a ovest del Paese), attentato del quale è stato accusato il presidente venezuelano, Nicolás Maduro. Nel marzo 2020, gli Stati Uniti hanno presentato accuse di narcotraffico, riciclaggio di denaro e terrorismo contro il Presidente Maduro e altri 14 alti esponenti del chavismo, nonché contro due dissidenti dell’ex guerriglia colombiana delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo). Al fine di consegnare gli accusati alla giustizia gli USA hanno offerto 15 milioni di dollari a chiunque possa fornire informazioni che portino all’arresto di Maduro e degli altri dissidenti.
Una lotta di potere in cui Maduro controlla ancora l’esercito, mentre Guaidò può godere di potenti appoggi esterni (riconosciuto come Presidente legittimo da circa 60 Paesi) e del consenso di una parte della popolazione venezuelana. Tuttavia, la speranza di una transizione politica rapida si è subito infranta, lasciando spazio a un ritorno delle divisioni all’interno dell’opposizione. Secondo un recente sondaggio la popolarità di Guaidó è precipitata dal 63 % del gennaio 2019 al 25,5 % del maggio 2020. La prospettiva delle elezioni legislative previste per dicembre è diventata poco incoraggiante per il leader di un’opposizione che dal 2015 ha la maggioranza in Parlamento. L’assemblea nazionale (An) dovrà infatti essere rinnovata nel 2020, e i quattro principali partiti di opposizione, riuniti in una sorta di “G4” (composto da Acción democratica, Voluntad popular, Primero Justicia e Un nuevo tiempo), hanno già fatto sapere che non parteciperanno al voto, definito da più parti una farsa elettorale. Gli oppositori denunciano i metodi del Tribunale superiore di giustizia (Tsj). Il 12 giugno 2020, arrogandosi una prerogativa che la legge attribuisce al Parlamento, il Tribunale ha nominato un nuovo Consiglio nazionale elettorale (Cne). Tre giorni dopo è arrivata la destituzione dei leader dei due principali partiti d’opposizione, Acción democratica e Primero Justicia.
settembre 2020 Nicolás Maduro firma un decreto con cui ordina la liberazione di 110 prigionieri politici. Una scelta tattica di una strategia che punta a dividere il fronte dell’opposizione tra chi è favorevole alla partecipazione alle prossime elezioni legislative del 6 dicembre e chi resta fermamente contrario. Ma anche un chiaro tentativo di riabilitarsi a livello internazionale per legittimare un voto che la maggioranza dei paesi e degli organismi mondiali considera privo di qualsiasi requisito di trasparenza e di garanzia democratica. Lasciano il carcere decine di parlamentari e dissidenti, intellettuali, docenti, semplici militanti ed esponenti dei diversi partiti accusati di reati gravi ma mai processati.

Un team d’inchiesta delle Nazioni Unite ha dichiarato nel suo primo rapporto che il presidente Nicolás Maduro e alcuni membri di spicco del suo governo si sono resi responsabili di crimini contro l’umanità in Venezuela, nello specifico hanno denunciato un uso sistematico di tortura e uccisioni arbitrarie dal 2014. Si tratta di crimini coordinati e commessi in nome delle direttive statali con il supporto diretto di alti ufficiali e di alti funzionari del governo.

Nel mese di dicembre 2020, il Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) e i suoi alleati hanno vinto le elezioni parlamentari, boicottate dall’opposizione, con il risultato del 67% dei voti. L’affluenza alle elezioni è stata del 31%, un risultato abbastanza positivo rispetto alle ultime elezioni. È di fondamentale importanza non tanto per via del risultato, quanto per la volontà del presidente di rispettare il calendario elettorale. L’UE aveva cercato di convincere quest’ultimo a rinviare il voto, che pertanto l’Organizzazione degli Stati americani e il Gruppo di Lima ritenevano fraudolento. Dopo la vittoria dell’opposizione, l’Assemblea nazionale, pur svuotata dei suoi poteri, era l’unico organo fuori dal controllo del regime di Caracas e la fonte di (relativa) legittimità costituzionale della pretesa di Guaidó di essere presidente ad interim.

Le tensioni al confine tra Colombia e Venezuela si sono intensificate nel mese di marzo 2021 spingendo molti più venezuelani a lasciare il Paese con lo scopo di trovare rifugio nelle vicine comunità colombiane. Lo scontro nello stato di Apure ha provocato la morte di almeno due soldati venezuelani e trentadue guerriglieri colombiani detenuti. Questo è il bilancio ufficiale che è stato rilasciato dal ministero della Difesa venezuelano in un comunicato. La crescente presenza di gruppi armati illegali al confine, i quali controllano tutto il traffico che si svolge in questi spazi compreso quello di persone, ha portato la popolazione a convivere con gruppi armati irregolari e bande criminali lungo il confine. C’è stata, e c’è tutt’ora, una complicità di cui si sa poco sul ruolo che l’esercito venezuelano sta giocando in questa situazione. Sembra che al confine sia in atto una preoccupante triangolazione che finisce per proteggere gli ELN (Esercito di liberazione Nazionale-Colombia) affinché continuino ad agire con un basso profilo e puniscano la dissidenza delle FARC (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) che tende ad agire con un alto profilo; ciò comprometterebbe seriamente la responsabilità dei comandanti dell’esercito che hanno giurisdizione in queste zone di confine venezuelane.

Dal mese di giugno 2021 oltre all’inflazione altissima, la diffusissima corruzione, la mancanza di beni primari e medicine e dei continui blackout, se n’è aggiunto un altro: la perdita di controllo da parte del regime di parti intere della capitale Caracas in cui Maduro non è più in grado di esercitare il suo potere. È successo per esempio nella zona della Cota 905, un’area periferica che si sviluppa sul fianco ripido di una collina nell’ovest di Caracas. Il caso della Cota 905 è piuttosto esemplare di quello che sta succedendo a Caracas e delle crescenti difficoltà di Maduro nel mantenere il controllo del territorio. La Cota 905, infatti, non è solo uno dei quartieri più pericolosi e problematici della capitale, la cui gestione in passato era già stata peraltro una specie di tentativo del regime di funzionare con efficienza, ma è anche un quartiere che si trova a soli tre chilometri di distanza dal palazzo presidenziale di Maduro e che nonostante questo sta sfuggendo al controllo delle forze di sicurezza venezuelane. Per Maduro la perdita di controllo della capitale potrebbe diventare un enorme problema, avendo passato gli ultimi anni nel tentativo di rafforzare il proprio potere, rispondendo alla pressione politica delle opposizioni e alle critiche provenienti da molti governi stranieri.

A tal proposito, durante il mese di luglio 2021, il governo ha iniziato una grande operazione di polizia nel quartiere Cota 905 con l’obiettivo di arrestare i leader dei gruppi criminali che vi operano e di limitarne l’espansione in altre zone della città. Il risultato purtroppo è stato uno scontro armato durissimo alla pari di una vera e propria guerra. La polizia pertanto, ha impiegato 800 agenti e mezzi corazzati e gli scontri sono stati così violenti che molte persone del quartiere sono state costrette a lasciare le loro case.

I fatti più recenti sono stati caratterizzati dalla ripresa di un nuovo ciclo di negoziati fra il Governo e l’opposizione del Venezuela. Da sfondo vi è stato il controverso Messico, luogo in cui si è tenuto l’incontro. L’obiettivo principale è stato quello di stabilire delle garanzie per la partecipazione dei partiti contrari al presidente Nicolás Maduro alle elezioni regionali di novembre. La mediazione e il dialogo (avvenuto tra il 3 e il 6 settembre) da parte della Norvegia e Messico sono stati di fondamentale importanza. Maduro ha assicurato che le discussioni con l’opposizione, iniziate il 13 agosto, hanno già avuto successo e ha celebrato la firma del memorandum che ha dato ufficialmente inizio alla trattativa di pace. La firma del documento ha segnato la conclusione di oltre sei mesi di dialogo tra il Governo del Paese latino-americano e l’opposizione. L’impegno assunto dal presidente è quello di rinuncia alla violenza, risarcimento delle vittime, protezione dell’economia nazionale, misure di protezione sociale e il riconoscimento delle legittime autorità del Venezuela.

Il presidente ha la necessità di trovare una nuova legittimità internazionale e spera in un allentamento delle sanzioni da parte degli Stati Uniti e dell’Europa anche perché il malcontento generale rischia di travolgere tutti. I venezuelani sono stanchi e stremati dalla crisi che si protrae da anni.

Durante il suo governo Maduro ha dovuto affrontare una delle peggiori recessioni nella storia del paese e l’economia del Venezuela si è contratta del 75 per cento. Sei milioni di persone hanno lasciato il paese, più di un quinto della popolazione. Se nel novembre del 2021 si fossero tenute delle regolari elezioni presidenziali, una sua vittoria sarebbe stata quasi impensabile in quanto nei sondaggi d’opinione la sua popolarità non superava il 15 per cento.

Nonostante ciò alle elezioni regionali e amministrative del 21 novembre 2021 il presidente Nicolàs Maduro è riuscito ad ottenere una vittoria schiacciante, conquistando 20 dei 23 posti da governatore oltre alla municipalità di Caracas, di fronte a un’opposizione divisa che ha partecipato per la prima volta a un voto dal 2017.

Da anni le elezioni in Venezuela sono state scenario di irregolarità e boicottaggi da parte delle autorità chaviste che hanno messo da parte l’opposizione e rafforzato la loro presa sui mezzi d’informazione: sono state chiuse tutte le redazioni dei giornali e i canali privati accettati erano gestiti da simpatizzanti del partito. I partiti di opposizione sono stati quasi del tutto esclusi.

Per questa ragione, a causa della frammentarietà dell’opposizione che non è riuscita a fare fronte comune nella Mesa de la Unidad Democrática, e della scarsa affluenza degli elettori alle urne (solo il 41,8%) le elezioni sono state un successo per il Psuv.

Nonostante la sconfitta, i partiti di opposizione rappresentavano la forza politica più importante nel paese, in termini numerici. Se si sommassero i risultati stato per stato di tutti i partiti di opposizione, con i relativi alleati, risulterebbero 4,05 milioni di voti con un vantaggio di 101 mila voti rispetto al Psuv ma la divisione e le congetture dietro le elezioni non hanno reso possibile un cambio di rotta politico.

Il trionfo più importante dell’opposizione si ebbe nel governatorato di Barinas, nell’ovest del paese, controllato dal 1998 da familiari dell’ex presidente Hugo Chavez dove la Corte Suprema di Giustizia ha privato della vittoria il candidato dell’Unità Democratica, Freddy Superlano a causa di procedimenti giudiziari a suo carico e lo aveva squalificato.

Inoltre, Maduro ha visto legittimata la sua vittoria dalla presenza nei seggi di oltre 300 osservatori internazionali tra i quali quelli del centro de Expertos Electorales de Latinoamérica (CEELA), ONU, Centro Carter e Unione europea convocati per la prima volta in 15 anni nel paese con il compito di controllare la regolarità e le eventuali violazioni dei diritti durante il processo.

In seguito a questa disfatta l’opposizione venezuelana al governo di Maduro ha perso legittimità e credibilità, e gli stessi sostenitori del presidente ad interim Juan Guaidò hanno preso le distanze dalla sua leadership. Ma il 27 dicembre 2021, in un clima di forti tensioni politiche, in una riunione straordinaria della Commissione delegata dell’Assemblea nazionale, organo legislativo il cui mandato quinquennale è scaduto nel 2020 ma che è stato esteso, l’opposizione venezuelana ha approvato la proroga per un altro anno dell’incarico di presidente ad interim del Venezuela per Juan Guaidó.

Dopo le elezioni di novembre lo stato di Barinas era l’unico dove non era stato proclamato un vincitore: la Corte Suprema aveva infatti interrotto lo scrutinio che dava in vantaggio il candidato dell’opposizione Freddy Superlano ordinando la ripetizione del voto.

Il 9 gennaio 2022 si è svolto nuovamente il processo elettorale e l’opposizione venezuelana ha ottenuto una vittoria storica nella culla dei Chavez. Il candidato governatore dell’opposizione Sergio Garrido ha avuto il 55,36 per cento dei voti, contro il 41,27 per cento del candidato chavista Jorge Arreaza. Questo risultato ha rappresentato una svolta per la politica venezuelana ed è stata la dimostrazione che il voto può essere uno strumento democratico per ottenere un cambiamento politico nei contesti autoritari. Inoltre è la prova che, quando l’opposizione si presenta unita, ha molte più probabilità di ottenere risultati positivi.

Le tensioni politiche di questi ultimi anni, e il conflittuale rapporto dell’autorità venezuelana con Unione Europea e Stati Uniti (ad oggi gli unici paesi che riconoscono Maduro come legittimo presidente sono Egitto, Turchia, Cina, Russia e Iran) ha avuto un importante impatto anche nell’economia del paese.

A partire dal 2018, ma con maggiore pressione durante il 2019 e 2020 l’amministrazione Trump, e poi Biden, ha messo in atto diverse politiche per cercare di ostacolare e far cadere il governo di Maduro.

Venne ordinato il congelamento di tutti i beni del governo venezuelano negli Stati Uniti e bloccate le transazioni con cittadini e società statunitensi. Sanzioni economiche vennero applicate anche da parte dell’Unione Europea, rinnovate poi dal Consiglio Europeo per altri 12 mesi il 26 novembre 2021. Le restrizioni più importanti riguardarono però il settore petrolifero, settore centrale dell’economia venezuelana.

Il settore petrolifero, in crisi da più di dieci anni a causa di corruzione e inefficienza, ha visto bloccate le sue esportazioni all’estero, con conseguente degrado delle strutture e perdita del lavoro per migliaia e migliaia di persone che dipendevano dal Petróleos de Venezuela (PDVSA) l’azienda petrolifera statale venezuelana. 

Solo dal maggio 2022 la situazione economica sembra conoscere una piccola ripresa.

La presidenza di Joe Biden ha deciso di alleggerire le sanzioni a cui era stato sottoposto il Venezuela, consentendo la ripresa delle esportazioni del petrolio venezuelano. Il principale obiettivo di questa mossa politica è ridurre l’indipendenza energetica del resto del mondo dalla Russia, alla luce del recente conflitto con l’Ucraina.

Due aziende europee, l’italiana ENI e la spagnola Repsol, ricominceranno a importare il petrolio venezuelano con un limite massimo di due milioni di barili, una cifra esigua rispetto al passato ma comunque un punto di partenza per la rinascita dell’economia del Venezuela. Inoltre, l’amministrazione Biden ha permesso a Chevron, la principale azienda petrolifera americana che ha ancora attività in Venezuela, di ridiscutere di possibili accordi economici con Petróleos de Venezuela (PDVSA).

Dal punto di vista politico sono due gli eventi che hanno segnato una svolta nelle relazioni del Venezuela con i paesi vicini, ovvero l’insediamento di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti e la vittoria del candidato delle Sinistre Gustavo Petro alle presidenziali in Colombia. Con la vittoria di Biden e con l’avvento della guerra in Ucraina, le sanzioni volute da Trump, che colpivano il petrolio, si sono notevolmente allentate. Il Venezuela dispone delle riserve di petrolio più grandi al Mondo (304 miliardi di barili). In vista delle elezioni politiche del 2024, gli Stati Uniti sperano nella ripresa delle trattative tra Maduro e il fronte dell’opposizione sostenuto da Washington. Sul versante colombiano, l’elezione del nuovo presidente Gustavo Petro ha espresso la sua intenzione di riprendere le relazioni diplomatiche con il Venezuela, dopo che il confine tra i due Paesi è rimasto chiuso dal 2019 al 2021. Precedentemente, infatti, la Colombia non aveva riconosciuto le elezioni presidenziali venezuelane del 2018 in Venezuela che riconfermarono al potere Maduro.

 CONTESTO SOCIO-CULTURALE

Per secoli il Venezuela fu trascurato dalle correnti immigratorie poiché non offriva le ricchezze di altri Paesi americani. La scoperta del petrolio (1917) accelerò notevolmente l’immigrazione, facendo salire la popolazione a 3,4 milioni di abitanti nel 1936 e a oltre 5 milioni nel 1950. Fortissima è stata l’immigrazione negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, in gran parte alimentata da spagnoli, italiani e portoghesi; gli abitanti erano 10,7 milioni al censimento dei primi anni Settanta (1971), quando una nuova ondata migratoria portò in Venezuela esuli da Cile, Argentina e Uruguay, Paesi dove la situazione politica si era rapidamente deteriorata, per poi raggiungere nel censimento 2001 i 23 milioni di abitanti. 

Attualmente, nella popolazione prevale il gruppo etnico mestizo (51.6%) risultato della mescolanza tra Europei, Indi e Africani, seguito da quello bianco (43.6%); meno numerosi sono i neri (3.5%), gli amerindi (2.5% circa) e gli altri gruppi etnici (1.2%). La popolazione indigena è presente in minima percentuale.

Gruppi etnici:

Nonostante la popolazione indigena rappresenti una piccola percentuale di quella complessiva del Venezuela, si possono trovare diversi gruppi indigeni all’interno del Paese. Le colonizzazioni europee costrinse molti di questi gruppi a spostarsi dalle loro terre di origine, mentre ad oggi i medesimi gruppi subiscono un ulteriore ridimensionamento delle loro terre, nonché lo sfruttamento di queste ultime per le risorse naturali. Molti di questi gruppi indigeni non hanno accesso a servizi pubblici sanitari adeguati, nonché sono spesso soggetti a violenza politica, sfruttamento economico e turismo.

Wayuú: sono il più grande popolo indigeno del Venezuela e vivono nella penisola di Guajira. Nel censimento nazionale del 2011 sono state identificate 413.436 persone appartenenti a questo gruppo.  Nel 19 ° secolo, il gruppo Wayúu iniziò a trasferirsi dalla penisola per lavorare nelle fattorie di canna da zucchero. Questa emigrazione è aumentata con lo sviluppo dell’economia petrolifera del Venezuela. Nel 1944, il governo trasferì diverse centinaia di Wayúu nel quartiere di Zaruma a Maracaibo. Sebbene i Wayuú si siano tradizionalmente impegnati in attività pastorali, di agricoltura e pesca, stanno diventando sempre più dipendenti da attività commerciali che ne minacciano la cultura. Dalle riforme costituzionali del 1999, un certo numero di Wayuú sono stati eletti all’Assemblea nazionale. Nel 2004 un massacro sul lato colombiano della penisola di Guajira ha causato la migrazione forzata di centinaia di rifugiati Wayuú colombiani in Venezuela, provocando una crisi umanitaria. Nel febbraio 2015, il presidente Maduro ha approvato un ordine che conferisce all’esercito nazionale l’autorità sullo sfruttamento del carbone e dei minerali nello stato di Zulia. Gran parte della terra inclusa in questo decreto è abitata da Wayúu.

Warao e Kariña: sono rispettivamente il secondo e il terzo popolo indigeno più grandi del Venezuela. I Warao hanno una popolazione di circa 50.000 abitanti. Questi gruppi vivono nelle terre intorno al Delta dell’Orinoco. In molte di queste terre  operano compagnie petrolifere, che hanno ridotto lo spazio vivibile per questi due gruppi e stanno provocando un significativo inquinamento della zona.

Pemón: sono la quarta comunità indigena più grande del Venezuela e vivono nella regione sudorientale. Secondo il censimento nazionale del 2011, contano circa 30.148 persone. Le loro tradizionali attività di sussistenza comprendono l’agricoltura, la caccia e la pesca. I Pemón si dividono in tre sottogruppi basati sul dialetto, Kamarokoto, Taurepan e Arekuna. La zona abitata da questo gruppo si scoprì essere ricca di oro e argento negli anni Trenta. Da allora la zona è soggetta a continue estrazioni minerarie.

Barí e Yukpa: i due gruppi vivono nella catena montuosa boscosa al confine con la Colombia. Sono due gruppi molto piccoli. I Bari, ad esempio, contano solo circa 1000 persone. Le loro principali attività di sussistenza sono la caccia e il raccolto. La mancanza di un riconoscimento ufficiale di questi gruppi li rende estremamente vulnerabili alle usurpazioni delle compagnie statali petrolifere e del carbone, nonché  dei proprietari terrieri e delle imprese di disboscamento.

Yabarana: sono uno dei gruppi indigeni piu’ piccoli del Venezuela, molto vicini all’estinzione. Vivono lungo il fiume Paracito nella parte meridionale del paese. Gli Yabarana sono minacciati dall’allevamento di bestiame e dal turismo

Yanomami: sono una delle comunità indigene più remote al mondo, contano circa 7.000 abitanti. Gli Yanomami vivono nella regione dell’Orinoco e della Sierra Parima nel sud del Venezuela, nonché nella regione amazzonica del Brasile. Questo gruppo è fortemente minacciato dai servizi sanitari inadeguati, violenza politica, sfruttamento economico e turismo, che ha portato molti Yanomami venezuelani a spostarsi in Brasile. Nel 2022 l’UNHCR ha documentato abusi aberranti, violenze e assassini perpetrati ai danni degli Yanomami da gruppi che controllano le numerose miniere d’oro illegali della zona. Nelle foreste della regione amazzonica e dell’Orinoco le miniere illegali hanno provocato importanti danni all’ecosistema, deforestazione e contaminazione delle acque.

Yekuana: vivono negli stati di Amazonas e Bolivar al confine con il Brasile. Il gruppo ha subito una forte frammentazione della loro struttura politica dovuta all’arrivo nella zona di persone non indigene. Nonostante lo sviluppo della zona in cui vivono, gli Yekuana ancora oggi hanno accesso limitato all’istruzione e ai servizi sanitari e affrontano anche la minaccia di invasione da parte di minatori legali e illegali.

ORDINAMENTO DELLO STATO

La República Bolivariana de Venezuela è una Repubblica Federale formata da 23 stati, dove il potere centrale mantiene però estese funzioni politiche e amministrative, sia nei confronti dei poteri locali, sia rispetto agli altri poteri dello Stato. Nella Costituzione, oltre al potere esecutivo, legislativo e giudiziario, vengono menzionati altri due poteri. Il potere elettorale, che si rispecchia nel Consejo Nacional Electoral, è responsabile della trasparenza dei processi elettorali e referendari e dell’organizzazione efficiente di tutti gli atti elettorali che si svolgono nel paese, nonché garantisce l’equità e la credibilità di questi processi e dei loro risultati. Vi è poi il potere ‘morale’, incarnato nel Consejo Moral Republicano, le cui funzioni includono prevenire, indagare o punire atti che violano l’etica pubblica e la morale amministrativa, assicurare la buona gestione e la legalità nell’uso dei beni pubblici e il rispetto dei principi costituzionali del giusto processo e della legalità, in tutta l’attività amministrativa dello Stato venezuelano.

EMERGENZA SOCIALE

La crisi economica miete inevitabilmente nella popolazione venezuelana le sue prime vittime. Essa raggiunge oggi quasi i 32 milioni di abitanti ed è costituita da una parte da una piccolissima minoranza di ricchi e benestanti che riescono a mantenere un tenore di vita elevato, basato sul consumo di beni di importazione costosi; dall’altra, da una larghissima maggioranza di quanti sono colpiti dalla crisi economica, categoria in cui non si trovano solo i poveri, ma sempre più quella che nel passato era la classe media. Secondo i dati diffusi dall’International Rescue Committee nel 2020, quasi un quarto della popolazione all’interno del Venezuela richiede assistenza umanitaria e il 94% delle famiglie vive in condizioni di povertà. L’aumento dei prezzi e la penuria sul mercato di generi alimentari e medicinali di prima necessità (a causa delle limitazioni delle importazioni) non è la sola immediata conseguenza della crisi economica. Infatti, la fissazione di un tetto massimo dei prezzi per i beni alimentari, al fine di renderli accessibili, associati a livelli retributivi che non aumentano di pari passo, disincentivano gli agricoltori locali a coltivare ortaggi, la cui produzione interna in effetti è diminuita. Lo stesso discorso vale per la produzione della carne, diminuita del 40%, e per quella del grano calata dell’80%.
Inevitabilmente, le difficoltà economiche hanno favorito una crescente diffusione di lavori nel settore informale anche tra la grande maggioranza di quanti, pur occupati, sono di fatto lavoratori poveri. Prospera anche la componente tradizionale dei trafficanti sul mercato nero (i cosiddetti bachaqueros), che vendono a prezzi maggiorati beni scarsi facendo evitare lunghe file ai negozi. L’inaccessibilità, per penuria sul mercato prima ancora che per prezzi elevati, di prodotti essenziali come le medicine sta facendo riemergere malattie a lungo ritenute debellate, come difterite e malnutrizione cronica.
La crisi economica ha deteriorato il Paese anche in termini di sicurezza. Infatti, insieme alle gravi difficoltà economiche, la disoccupazione e la rabbia, è cresciuta molto la violenza, al punto che oggi la capitale Caracas è la città più violenta al mondo, in base ai dati sugli omicidi registrati dall’Instituto Nacional de Medicina y Ciencias Forenses: nel corso degli ultimi anni si è avuto un netto peggioramento e la probabilità di morire di morte violenta è oggi cento volte più alta che a Londra e venticinque volte più che a New York.

VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI

L’Alto Commissariato dell’ONU per i diritti umani ha reso pubblico, il 2 luglio, il rapporto sulla situazione venezuelana delineando una situazione particolarmente grave. La nazione, scivolata a un’inflazione tra il 400% e il 700%, messa in ginocchio dalle sanzioni, gestita da un regime totalitario con un’economia basata sul petrolio, è diventata teatro di alcune delle peggiori violazioni dei diritti umani in America Latina.
Il rapporto condanna specificamente la politica repressiva delle forze di sicurezza, le esecuzioni extragiudiziali, gli incarceramenti per motivi politici, la tortura e le gravi violazioni dei diritti economici, sociali e culturali che hanno causato l’ampio diniego dei servizi sanitari, la carenza di cibo e medicinali. Tutto ciò è il risultato di anni di corruzione, furto di fondi pubblici, mancata manutenzione delle infrastrutture e scarsi investimenti nei servizi pubblici.

Libertà d’associazione e d’assemblea

La legge del Venezuela prevede il diritto di associazione e di assemblea, definendo il diritto dei cittadini di potersi riunire in maniera pacifica e di poter creare associazioni, anche per scopi politici. Tuttavia, sotto il regime di Maduro, tali diritti sono spesso violati, facendo leva sul linguaggio ambiguo della stessa legge che permette alle autorità di criminalizzare le organizzazioni che criticano il regime. Il diritto di riunione pacifica è spesso soppresso o soggetto a limitazioni. I partecipanti alle proteste sono stati oggetti di ripercussioni da parte da forze di sicurezza e gruppi armati allineati al regime. Nelle associazioni di carattere politico avvengono spesso interferenze governative. Nel 2016, un decreto presidenziale ha ordinato al ministero degli Esteri di  sospendere i  finanziamenti internazionali alle ONG, giustificando che tali finanziamenti fossero stati utilizzati con scopi politici o di destabilizzazione.

Libertà di espressione e di stampa

L’articolo 57 della Costituzione del Venezuela tratta della libertà di espressione, indicando che ogni individuo ha diritto a potersi esprimere liberamente in ogni forma e con qualsiasi mezzo di comunicazione e diffusione, vietando la censura. Lo stesso articolo prevede che chiunque si avvalga di questo diritto si assume la piena responsabilità per quanto tutto.

Tuttavia la stessa legislazione del paese prevede limitazioni di tali diritti, vietando la diffusione di certe informazioni, esercitando un perenne controllo sulle notizie e sulla loro diffusione, e prevendendo ripercussioni per gli oppositori del regime. Ad esempio, la legge venezuelana prevede la condanna per insulti al presidente punibile da 6 a 30 mesi di carcere senza cauzione, con pene minori per insulti a funzionari di grado inferiore. Con l’instaurazione del regime di Maduro, i media sono stati sottoposti a maggiori restrizioni e controlli, con l’obiettivo di controllare le notizie, soprattutto quelle in opposizione al regime. Dal 2017 si è registrata un’intensificazione degli arresti arbitrari e delle violenze contro i giornalisti e membri dei media da parte della polizia e dei servizi di intelligence. Il governo cerca di limitare la stampa anche fisicamente, ad esempio rendendo difficile reperire la carta per stampare o effettuando attacchi informatici contro i media online. Inoltre, il governo venezuelano porta avanti forte censura dei contenuti della rete Internet, pilotando in questo modo la diffusione delle notizie. Numerosi siti internet critici verso Maduro sono bloccati. Nel 2022, il Venezuela si classifica  159° su 180 paesi nella classifica mondiale per la libertà di stampa.

Libertà di religione

L’ articolo 59 della Costituzione del Venezuela prevede la libertà di religione e di culto, indicando che tutte le persone hanno il diritto di professare la propria fede religiosa e i propri culti, ed esprimere le proprie convinzioni in privato o in pubblico. Nello stesso articolo viene  indicato che tale libertà è limitata quando le convinzioni vengano riconosciute come contrarie alla morale, al buon costume e all’ordine pubblico.  Questo ultimo aspetto ha permesso alle autorità di portare avanti diverse forme di ripercussione contro membri del clero e altri membri delle comunità religiose che hanno espresso contrarietà al regime o che hanno richiamato l’attenzione sulla crisi umanitaria del Paese. Diverse comunità religiose hanno denunciato attacchi da parte delle autorità governative e dei gruppi armati allineati al regime, tra cui l’ interruzione dei servizi religiosi, attacchi ai fedeli e distruzione delle proprietà della Chiesa.

Diritto alla salute

L’art. 83 della Costituzione tutela la salute in quanto diritto sociale fondamentale garantito dallo Stato come parte del diritto alla vita. Lo Stato promuove e sviluppa politiche orientate a migliorare la qualità della vita, il benessere comune e l’accesso ai servizi. Tutte le persone hanno il diritto alla tutela della salute, nonché il dovere di partecipare attivamente al perseguimento e la protezione della stessa.

Sebbene il testo costituzionale preveda tale tutela, il sistema sanitario nel paese è sull’orlo del collasso poiché gli ospedali non dispongono di personale, forniture e medicinali. Le infrastrutture soffrono delle continue interruzioni della corrente elettrica e il mancato accesso all’acqua. La carenza, e a volte la totale assenza di farmaci e di servizi sanitari essenziali, così come l’esodo del personale sanitario hanno avuto gravi ripercussioni sulla possibilità di accedere ad adeguati standard d’assistenza medica. Le ONG continuano a documentare il riemergere di patologie ritenute ormai sotto controllo o completamente sradicate, come il morbillo e la difterite. Nelle quattro principali città, tra cui Caracas, si registra una carenza di farmaci essenziali stimabile tra il 60% e il 100%.

 La crisi ha costretto migliaia di venezuelani a migrare verso altri paesi per poter accedere ai servizi sanitari di base che dovrebbero essere garantiti dallo stato. Ad esempio, in Venezuela il tasso di mortalità materna è aumentato vertiginosamente, costringendo molte donne incinta a lasciare il paese per partorire.

È impossibile determinare la reale portata delle difficoltà di accesso all’assistenza medica, in quanto le autorità continuano a non fornire dati aggiornati relativi alla situazione sanitaria. Per esempio, gli ultimi bollettini epidemiologici pubblicati dalle autorità risalivano al 2017.

La situazione sanitaria venezuelana si è ulteriormente aggravata negli ultimi anni a causa dell’epidemia da Covid-19 che dal 2020 interessa tutti i paesi del mondo. La mancanza di un piano di vaccinazione nazionale efficace, la difficoltà di accesso ai vaccini per il Covid-19, la carenza di dispositivi di protezione per il personale medico e il conseguente degrado delle infrastrutture hanno fatto sì che il sistema sanitario nazionale continuasse a deteriorarsi. L’Ong locale Médicos Unidos (Medici uniti) che attivamente, insieme ad altre Ong, lotta per la tutela dei diritti umani nel paese, denuncia la sperimentazione illegale di vaccini biologici non autorizzati dall’OMS sulla popolazione, con il solo proposito di sperimentazione clinica.

Dall’inizio della pandemia l’UNHCR registra 522.271 casi di contagio e 5.707 decessi ma i dati sono fittizi a causa delle scarse e poco dettagliate informazioni fornite dalle autorità.

Detenzioni arbitrarie

L’art.49 della Costituzione garantisce il diritto ad un giusto processo, vieta l’arresto o la detenzione di un individuo senza un ordine giudiziario e prevede che l’imputato rimanga libero durante il processo. Nella legge venezuelana è inoltre previsto il diritto delle persone di contestare la legittimità del loro arresto o detenzione in tribunale.

Nonostante sussista una precisa garanzia costituzionale e una copertura legislativa in materia, nella politica repressiva adottata dall’amministrazione di Nicolás Maduro molto spesso avvengono numerosi arresti arbitrari e le disposizioni legislative sono spesso ignorate da giudici e pubblici ministeri. La magistratura viene usata dal regime di Maduro come tecnica di intimidazione e persecuzione degli individui critici delle politiche o delle azioni dello stesso regime, portando avanti le pratiche di arresti arbitrari e processi ingiusti. Finire nel processo giudiziario è un rischio elevato. Le persone arrestate arbitrariamente sono state spesso sottoposte a tortura o altro maltrattamento, tra cui l’uso di scosse elettriche, soffocamento tramite buste di plastica, semi-annegamento o violenza sessuale. Sono stati frequentemente segnalati casi di sparizione forzata, in cui le autorità avevano confermato che le persone scomparse erano state arrestate, senza tuttavia che le famiglie o i loro avvocati siano mai stati in grado di stabilire che cosa fosse accaduto loro o dove si trovassero. Molto spesso i mandati giudiziari che disponevano il rilascio degli arrestati sono rimasti frequentemente inapplicati.  Oltretutto, la situazione nei penitenziari del paese è drammatica e sono persistite segnalazioni di inadeguate condizioni all’interno dei centri di detenzione della polizia. Il sovraffollamento e la mancanza di cure mediche e servizi essenziali porta alla diffusione di patologie nelle carceri, arrivando spesso a causare decessi a causa di queste ultime.

Esecuzioni extragiudiziali

Numerose sono state le segnalazioni e le denunce da parte di diverse ONG contro le esecuzioni extragiudiziali, ossia omicidi arbitrari e illegittimi compiuti da enti di polizia nazionali, statali e municipali, nonché le forze armate sostenitrici dal regime. Nonostante non sussistano statistiche ufficiali su tali esecuzioni arbitrarie, è stato possibile riscontrare uno schema costante in questo tipo di uccisioni. Coloro che venivano presi di mira erano tutti giovani maschi, critici nei confronti del governo o percepiti tali, provenienti dai quartieri più poveri e la cui partecipazione alle proteste era ben nota. Le autorità hanno sostenuto che le morti erano avvenute durante gli scontri con la polizia e che le vittime stavano opponendo resistenza all’autorità. Tuttavia, dalle prove raccolte è emerso che le scene del crimine erano state alterate.

Uso sproporzionato della forza

Sotto il regime Maduro le autorità statali hanno intrapreso una politica sistematica di repressione che si sta man mano intensificando. I soggetti presi di mira non sono solo coloro considerati contrari al regime, ma è stato registrato l’uso di forza letale verso le persone più vulnerabili e socialmente escluse nel paese con il pretesto di “combattere la criminalità”. Tuttavia, i principali soggetti a subire la violenza delle forze armate sono i manifestanti, in particolare nelle aree povere più colpite dalla crisi e dove i gruppi armati di Maduro sono concentrati. L’uso della forza da parte delle forze militari e di polizia contro i manifestanti è stata in alcuni casi anche intenzionalmente letale. A gennaio 2020, almeno 24 persone sono morte nel contesto di episodi violenti collegati alle proteste. Almeno 21 sono morte per mano di agenti di pubblica sicurezza e civili armati che avevano agito con la loro acquiescenza. Poiché queste uccisioni avvenivano secondo schemi divenuti ormai ricorrenti e sistematici, potrebbero configurarsi come crimini contro l’umanità.

Secondo il rapporto dell’OHCHR (Office of High Commissioner for Human Rights), 66 persone sono morte in seguito all’uso eccessivo della forza da parte di agenti di polizia e militari durante le manifestazioni che si sono tenute tra gennaio e maggio 2020. Sono stati segnalati frequenti casi di irruzioni illegali e arresti arbitrari di manifestanti da parte delle forze di sicurezza.

Ambiente

Nel 1977 il Venezuela fu il primo paese dell’America Latina a creare un ministero dell’ambiente. Famoso per la sua ricca vegetazione, grandi aree furono dichiarate parco nazionale e furono approvate leggi per la tutela della fauna selvatica. Al tempo la compagnia petrolifera statale, ben amministrata non aveva necessità di abbattere le foreste per poter lavorare.

Al 2022 la situazione è ben diversa e fortemente preoccupante. Il governo di Maduro corrotto e privo di risorse, alla continua ricerca di nuove fonti di guadagno, ha dato il via a una corsa sfrenata e senza regole all’estrazione mineraria.

Il processo di sfruttamento è iniziato già nel 2016 quando Maduro ha creato una “zona mineraria speciale” nel sud del Venezuela chiamata arco minero (a causa della sua forma a mezza luna).

Lo scopo dell’iniziativa era attirare investimenti per l’estrazione dell’oro, del ferro, del cobalto, della bauxite, della tantalite, dei diamanti e di altri minerali a scapito di più di 230.000 ettari di foresta amazzonica. L’attività mineraria illegale, che usa il mercurio per separare l’oro dai minerali grezzi, sta provocando l’inquinamento delle falde acquifere del paese, utilizzate quotidianamente dalle popolazioni native.

Secondo l’organizzazione ambientalista Sos Orinoco nel 2021 più di un terzo dei componenti della popolazione pemón, sottoposti ad analisi, aveva livelli di mercurio superiori alla soglia di sicurezza fissata dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Inoltre nei primi mesi del 2023, in cima al tepuy Yapacana, nello Stato di Amazonas, sono state trovate tracce di un’attività mineraria illegale, che sembra incontrollabile. Ci sono circa 3.800 macchinari nel parco nazionale, il che dimostra un processo ben tecnico, nonostante sia fuori legge. E in cima al tepuy sono stati individuati 86 macchinari. Il 2 febbraio 2023 Sos Orinoco ha denunciato che 3.200 ettari del parco sono stati “deforestati e avvelenati dal mercurio” a causa dell’attività mineraria illegale.

La presenza di vari gruppi armati, tra cui l’Esercito di liberazione nazionale (ELN), le Forze patriottiche di liberazione nazionale (FPLN) e i gruppi emersi dalle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), operano costantemente un brutale controllo delle attività quotidiane per controllare le attività di estrazione mineraria in 14 diversi territori indigeni. Quest’ultima è tra le principali cause della deforestazione e dell’inquinamento idrico causando varie malattie tra cui l’avvelenamento da mercurio e il colera. Le popolazioni indigene subiscono quotidianamente vari tipi di sfruttamento, dal lavoro forzato allo sfruttamento sessuale. Human Rights Watch ha documentato orribili abusi, violenze e omicidi da parte di gruppi armati che controllano le miniere d’oro illegali nel sud del Venezuela.

Dal punto di vista ambientale il Venezuela è responsabile di meno dell’1% delle attuali emissioni globali, ma nonostante questo continua a subire la maggior parte delle conseguenze del cambiamento climatico, come siccità prolungate e forti piogge che provocano frane e inondazioni. La produzione di petrolio e la mancanza di un efficace trattamento delle acque reflue da parte delle compagnie petrolifere hanno incrementato i livelli di contaminazione dell’acqua. Tutto ciò provoca la distruzione di ecosistemi acquatici e terrestri essenziali per l’esistenza di un ambiente sano. L’uso di mercurio e cianuro nell’estrazione di oro e altri metalli ha generato effetti altamente nocivi sull’ambiente e sulla salute umana. L’estrazione dell’oro è inoltre strettamente collegata a fenomeni quali lo sfruttamento del lavoro minorile e forme di schiavitù delle popolazioni indigene che subiscono quotidianamente minacce, intimidazioni, sparizioni forzate. Non si arresta la massiccia deforestazione in tutto il Paese che contribuisce alla desertificazione, all’erosione del suolo, alle inondazioni e all’aumento delle emissioni di gas serra. Si stima che a causa della deforestazione, entro il 2025 oltre 1,3 milioni di ettari di copertura vegetale saranno andati completamente perduti.

Emergenza sociale 

In Venezuela continua a persistere una grave emergenza umanitaria, dove il governo continua a rifiutarsi di riconoscere la gravità della crisi e di accettare gli aiuti dalle agenzie umanitarie. Le persone in fuga dal paese raggiungono i paesi limitrofi in cerca di beni e servizi essenziali, nonché fuggono da un sistema repressivo che viola molti dei diritti umani. Le sanzioni rivolte alle entità governative hanno aggravato ulteriormente la situazione, rendendo ancora più difficile reperire alcuni beni essenziali. Secondo i dati diffusi da HumVenezuela, una piattaforma che monitora la situazione umanitaria del paese, 19,1 milioni di persone su una popolazione di 30,5 milioni hanno bisogno di aiuti umanitari. Il 90% della popolazione soffre di fame cronica e la mancanza di accesso all’acqua e il sistema sanitario in collasso rendono la situazione ancora più disastrosa. La crisi economica grava fortemente la popolazione, costituita da una piccolissima minoranza di ricchi e benestanti che riescono a mantenere un tenore di vita elevato, basato sul consumo di beni di importazione costosi; dall’altra, da una larghissima maggioranza di quanti sono colpiti dalla crisi economica, categoria in cui non si trovano solo i poveri, ma sempre più quella che nel passato era la classe media. L’aumento dei prezzi e la penuria sul mercato di generi alimentari e medicinali di prima necessità (a causa delle limitazioni delle importazioni) non è la sola immediata conseguenza della crisi economica. Infatti, la fissazione di un tetto massimo dei prezzi per i beni alimentari, al fine di renderli accessibili, associati a livelli retributivi che non aumentano di pari passo, disincentivano gli agricoltori locali a coltivare ortaggi, la cui produzione interna in effetti è diminuita. Lo stesso discorso vale per la produzione della carne, diminuita del 40%, e per quella del grano calata dell’80%.

Inevitabilmente, le difficoltà economiche hanno favorito una crescente diffusione di lavori nel settore informale anche tra la grande maggioranza di quanti, pur occupati, sono di fatto lavoratori poveri. Prospera anche la componente tradizionale dei trafficanti sul mercato nero (i cosiddetti bachaqueros), che vendono a prezzi maggiorati beni scarsi facendo evitare lunghe file ai negozi. L’inaccessibilità, per penuria sul mercato prima ancora che per prezzi elevati, di prodotti essenziali come le medicine sta facendo riemergere malattie a lungo ritenute debellate, come difterite e malnutrizione cronica.

La crisi economica ha deteriorato il Paese anche in termini di sicurezza. Infatti, insieme alle gravi difficoltà economiche, la disoccupazione e la rabbia, è cresciuta molto la violenza, al punto che oggi la capitale Caracas è la città più violenta al mondo, in base ai dati sugli omicidi registrati dall’Instituto Nacional de Medicina y Ciencias Forenses: nel corso degli ultimi anni si è avuto un netto peggioramento e la probabilità di morire di morte violenta è oggi cento volte più alta che a Londra e venticinque volte più che a New York.

SOGGETTI VULNERABILI

Donne

Il collasso dell’economia in Venezuela e l’emergenza Covid-19 hanno determinato una serie di crisi interne al paese. Come in ogni crisi, i gruppi sociali più vulnerabili sono quelli a risentirne maggiormente. Tra questi ci sono le donne, vittime di una cultura patriarcale fatta di violenza e minori possibilità occupazionali. La crisi pandemica ha complicato inoltre l’accesso alle cure alle donne venezuelane le quali, già da prima della pandemia, rivendicavano specifiche necessità in termini di salute sessuale e riproduttiva. Dal 2003 sono state promosse una serie di politiche sociali conosciute come Misiones Bolivarianas. Le Misiones hanno obiettivi differenti: dalla lotta contro la povertà ai programmi di alfabetizzazione, la salute, l’acceso al credito, l’implementazione di attività culturali e politiche e quelle in sostegno della popolazione indigena e dell’ambiente.

Misión Barrio Adentro e Misión Madres de Barrio sono però le due iniziative che hanno definito negli anni il ruolo della donna e del sistema sanitario venezuelano. La prima ha determinato la costruzione di ambulatori nelle zone rurali e urbane più denigrate del paese, la seconda, invece, ha come genesi una giustificazione costituzionale. 

L’art. 88 della Costituzione venezuelana, infatti, sancisce il riconoscimento sociale di una leadership femminile nella gestione e nella cura del nucleo famigliare. Lo sfondo ideologico di Madres del Barrio che mira all’indipendenza femminile è stato poi tradotto in trasferimenti monetari a sostegno delle donne disoccupate. Tuttavia, se da un lato il riconoscimento del lavoro domestico può essere considerato una conquista per i diritti delle donne, dall’altro si ammette l’esistenza di una differenza fra sessi nei ruoli sociali che tralascia, così, la multidimensionalità dell’essere donna.

Bambini

La crisi economica, politica e sociale in Venezuela ha impedito l’accesso di grandi settori della popolazione ai beni di prima necessità, anche prima della pandemia. L’emergenza sanitaria ha esacerbato questa situazione, quasi il 70% dei bambini venezuelani non hanno accesso all’acqua e al sapone per il lavaggio delle mani al fine di prevenire l’infezione da COVID-19. La stessa percentuale di persone ha problemi per quanto riguarda l’accesso al cibo. Pertanto, la malnutrizione è uno degli effetti più gravi che ha intensificato la pandemia. Per quanto riguarda l’istruzione, poco più di un terzo non ha frequentato la scuola a causa della sospensione del ciclo scolastico. In Venezuela, il 92% dei bambini è rimasto a casa durante la quarantena, mentre il resto è rimasto a casa presso i nonni. La separazione familiare è più evidente in Venezuela: tutti i bambini intervistati vivevano senza i loro genitori al momento dell’indagine.

L’ONU denuncia le organizzazioni criminali note come sindicatos che esercitano un controllo diretto delle produzioni minerarie nell’area dell’Arco Minero, nello stato di Orinoco, in Venezuela, corrompendo le forze armate presenti nell’area per poter gestire le attività. Le violazioni osservate vanno dallo sfruttamento del lavoro e quello del lavoro minorile, dallo sfruttamento della prostituzione alla violenza di genere, fino agli abusi contro l’ambiente e i popoli indigeni. Il tutto drammaticamente coperto da totale impunità. I minatori lavorano su turni di almeno 12 ore, calandosi in cunicoli profondi senza alcuna protezione. I lavoratori sono tenuti a pagare circa il 10-20% di ciò che guadagnano ai gruppi criminali che controllano le miniere e un ulteriore 15-30% al proprietario del mulino dove le rocce vengono frantumate per estrarre oro e altri minerali. Inoltre l’OHCHR sostiene che dal 2016 c’è stato un forte aumento del traffico di esseri umani con finalità di sfruttamento della prostituzione.

LGBTQIA+

La comunità LBGTQIA+ in Venezuela soffre di diverse forme di discriminazione, violenza e rifiuto sociale esacerbate ulteriormente dalla crisi economica che ha reso ancora più precaria la loro posizione all’interno del paese. Le pratiche discriminatorie rimangono impunite data la mancanza di applicazione delle poche leggi che vietano la discriminazione basata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. Inoltre sono stati registrati diversi episodi di violenza contro la comunità, motivati da pregiudizi largamente diffusi nel paese.  Uno dei problemi piu’ gravi è che il regime Maduro ha sistematicamente negato il riconoscimento legale alle persone transgender e intersessuali, impedendo loro di ottenere i documenti di identità necessari per accedere all’istruzione, al lavoro, all’alloggio e all’assistenza sanitaria. Questa vulnerabilità ha spesso portato le persone transgender e intersessuali a diventare vittime della tratta di esseri umani o della prostituzione.

Rifugiati

Secondo l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, la crisi dei profughi venezuelani nel 2022 è la quarta più grave al mondo dopo quella siriana, ucraina e afgana. A fine del 2022 sono 5.451.800 le persone in fuga dal Venezuela. Secondo la Piattaforma di coordinamento inter-agenzia per i rifugiati e i migranti dal Venezuela, circa 7,1 milioni di venezuelani sono fuggiti dal paese dal 2014. La stragrande maggioranza, 6 milioni, è ospitata da paesi dell’America Latina e dei Caraibi. Paesi come Brasile, Colombia, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Ecuador, Paraguay, Perù, Uruguay hanno concesso asilo ai venezuelani e facilitato l’accesso a un soggiorno legale.Entro la fine del 2022, sono 2,5 milioni i venezuelani che hanno richiesto una protezione temporanea in Colombia, di cui 1,6 milioni già in possesso di un permesso di protezione temporanea. In Brasile, 53.300 venezuelani sono stati riconosciuti rifugiati entro la fine del 2022 e 345.300 avevano ottenuto il permesso di soggiorno. In aumento sono, inoltre, i movimenti diretti verso gli Stati Uniti. Nel 2022 un numero record di circa 150.000 venezuelani si sono diretti verso il confine sud-occidentale degli USA attraversando il Darién con movimenti irregolari. In risposta il governo degli Stati Uniti ha annunciato il 12 ottobre 2022 un “nuovo processo di applicazione della migrazione per i venezuelani” che prevedeva il ritorno in Messico dei venezuelani che avevano attraversato irregolarmente il confine e l’impiego di un nuovo programma di libertà vigilata umanitaria che consentiva a un numero massimo di 24.000 venezuelani di entrare negli Stati Uniti. Considerato l’aggravarsi delle condizioni politiche, economiche, umanitarie e relative al rispetto dei diritti umani che spingono i venezuelani alla fuga, l’UNHCR ritiene che la maggioranza di questi necessiti di una protezione internazionale. Alla fine del 2022 sono stati registrati  1.137.162 richiedenti asilo e 269.495 nuove domande di asilo. Oltre ai dati ufficiali, si stima un elevato numero di venezuelani che si trovano fuori dal proprio Paese senza essere regolarmente registrati. La mancanza di una strategia regionale coordinata da parte dei paesi vicini, abbandona migliaia di persone in un limbo giuridico a causa dell’impossibilità di richiedere e ottenere lo status di rifugiato o un altro tipo di protezione internazionale.

RIEPILOGO FONTI: