Introduzione

Il tema emigrazione-immigrazione in Italia è stato affrontato da numerosi autori della canzone italiana, in particolar modo dagli anni ’70 fino ai giorni nostri. In Italia nel primo dopoguerra numerosi italiani partirono alla volta degli Stati Uniti, dell’Argentina e, per quanto riguarda l’Europa, della Germania. Le canzoni degli anni ’70 scritte da cantautori quali Francesco De Gregori, Francesco Guccini, Ivano Fossati si rifanno proprio a questo periodo italiano e narrano la fatica, le condizioni disagiate, la povertà di chi era costretto a partire in cerca di un futuro migliore. Negli anni ’90 e 2000 comincia a delinearsi un filone musicale che non tratta più l’emigrazione italiana, bensì l’immigrazione africana, albanese e dell’est Europa. I cantautori, quali Roberto Vecchioni, lo stesso Fossati – molto attento nella sua produzione musicale al tema del viaggio – Samuele Bersani, Fiorella Mannoia, cominciano a descrivere e a narrare il viaggio per mare, l’arrivo sulle coste italiane, le fatiche dei nuovi migranti e i pregiudizi nutriti dagli italiani nei loro confronti. Come possiamo notare dai testi delle canzoni scelte, l’accento si sposta dall’analisi della condizione italiana di emigrante alla situazione degli immigrati in Italia negli ultimi 15 anni.

Canzoni Analizzate

• L’abbigliamento di un fuochista – Francesco De Gregori (1982)

• Barcarola albanese – Samuele Bersani (1995)

• Pane e coraggio – Ivano Fossati (2003)

• Rrock – Gianmaria Testa (2006)

• Non è un film – Fiorella Mannoia (2012)

Canzone 1

L’ABBIGLIAMENTO DI UN FUOCHISTA

(Francesco De Gregori – 1982)

 

L’autore

Francesco De Gregori, cantautore romano, classe 1951, figlio del bibliotecario Giorgio De Gregori e dell’insegnante di lettere Rita Grechi, ricevette il nome di Francesco in memoria di suo zio, ufficiale degli Alpini e successivamente partigiano vicecomandante delle brigata Osoppo, ucciso a Porzûs nel 1945. Appassionato e studioso di storia, nella sua lunga carriera artistica è sempre stato molto attento ai temi dell’emigrazione (L’abbigliamento del fuochista), dei viaggi (Titanic), delle partenze e dei ritorni (Generale). Importante, inoltre, il suo impegno nel recupero del patrimonio della musica popolare, insieme a Giovanna Marini, con l’album “I fischi del vapore” (2002): un repertorio che comprende canti popolari, canzoni scritte da cantautori come Gualtiero Bertelli o dagli stessi De Gregori e Marini. Tutte ricalcano lo stile della musica folk sia nei testi che nell’accompagnamento musicale.

Lo sapevi che…?

La canzone L’abbigliamento di un fuochista appartiene all’album “Titanic” pubblicato nel 1982. È una ballata folk sul tema dell’emigrazione, cantata nella versione originale insieme a Giovanna Marini. De Gregori dedica una sequenza di tre canzoni al famoso disastro del grande transatlantico che, partito dal porto inglese di Southampton per il viaggio inaugurale verso New York il 10 aprile 1912, si inabissò la notte del 14 all’altezza del Banco di Terranova: I muscoli del capitanoTitanicL’abbigliamento del fuochista, nella quale si narra di un ragazzo che si imbarca per sfuggire alla povertà e tentare la fortuna in America. È strutturata come un colloquio tra la mamma e il figlio. Nell’album “La donna cannone” De Gregori inserisce una canzone, La ragazza e la miniera, nella quale immagina le vicende del fuochista una volta arrivato in America («Mamma chissà se valeva la pena/ fare tanta strada e arrivare qua….»).

Testo

1)
Figlio con quali occhi, con quali occhi ti devo vedere,
coi pantaloni consumati al sedere e queste scarpe nuove nuove.
Figlio senza domani, con questo sguardo di animale in fuga
e queste lacrime sul bagnasciuga che non ne vogliono sapere.
Figlio con un piede ancora in terra e l’altro già nel mare
e una giacchetta per coprirti e un berretto per salutare
e i soldi chiusi dentro la cintura che nessuno te li può strappare,
la gente oggi non ha più paura, nemmeno di rubare.

2)
Ma mamma a me mi rubano la vita quando mi mettono a faticare,
per pochi dollari nelle caldaie, sotto al livello del mare.
In questa nera nera nave che mi dicono che non può affondare,
in questa nera nera nave che mi dicono che non può affondare.

3)
Figlio con quali occhi e quale pena dentro al cuore,
adesso che la nave se ne è andata e sta tornando il rimorchiatore.
Figlio senza catene, senza camicia, così come sei nato,
su questo Atlantico cattivo, figlio già dimenticato.
Figlio che avevi tutto e che non ti mancava niente
e andrai a confondere la tua faccia con la faccia dell’altra gente
e che ti sposerai probabilmente in un bordello americano
e avrai dei figli da una donna strana e che non parlano l’italiano.

4)
Ma mamma io per dirti il vero, l’italiano non so cosa sia,
eppure se attraverso il mondo non conosco la geografia.
In questa nera nera nave che mi dicono che non può affondare,
in questa nera nera nave che mi dicono che non può affondare.

Analisi letteraria e musicale

• La ballata presenta due strofe di sedici versi per le parole della madre e due strofe di otto versi per quelle del figlio, che concludono con due coppie di versi uguali.

• È la mamma che saluta il figlio, ne descrive l’abbigliamento come a voler fissare l’immagine nella memoria per sempre, perché ha il presentimento che non lo rivedrà più. Nelle parole di risposta del figlio è presente il tentativo di rassicurare la madre, perché il viaggio è sicuro, ed accenna alla straziante fatica degli operai che alimentano le potenti caldaie del transatlantico.

• Il tono della canzone diventa più lirico e struggente nel momento della partenza della nave, con la madre che non riesce ad accettare la scelta del figlio, quel figlio a cui non mancava niente, anche nella povertà. Interessanti sono anche alcuni aspetti dell’identità: viaggiare significa probabilmente perdere il legame con la propria terra. La madre teme che il figlio si perderà tra l’altra gente, che non si ricorderà più della patria da cui viene. Collegato a questo timore si scopre ben radicato il pericolo dello straniero, tratteggiato come persona di malaffare o dai costumi discutibili (sposerà una donna straniera, conosciuta in un bordello e avrà dei figli che non parleranno più l’italiano).

• Il figlio, in risposta alla madre, le ricorda la propria condizione di straniero, cioè di escluso anche in Italia a causa della miseria e dell’ignoranza. Questa diventa la vera molla che lo spinge a partire nel tentativo di migliorare la propria vita oltreoceano.

• La canzone è ricca di citazioni di elementi delle canzoni della tradizione popolare, come il ripetere di parole o frasi e frammenti dei canti degli emigrati di fine secolo (“Mamma mia dammi cento lire / che in America voglio andar…”). Non mancano riferimenti colti: la lauda drammatica Donna de Paradiso di Jacopone da Todi del 1300, in cui il dialogo tra una madre e suo figlio che va incontro ad un destino di morte è quello tra Maria e Gesù.

• Dal punto di vista della scrittura musicale, è una canzone molto semplice che riprende la tradizione della canzone popolare italiana, con l’accompagnamento molto cadenzato della chitarra acustica, il mandolino (tipico della tradizione musicale partenopea), brevi inserti di coro e archi che riprendono il tema iniziale. Nell’incisione originale, Giovanna Marini interviene in seconda voce in alcuni momenti delle strofe. La semplicità musicale, l’uso di strumenti popolari, spesso all’unisono, sottolineano il carattere popolare della canzone.

Vediamo ora alcune particolarità linguistiche presenti all’interno delle canzone:

Strofa 1

Figlio, figlio, figlio: anafora, per evidenziare la partenza, il distacco del figlio dalla madre (cioè dalla terra natia)

Rima interna (vedere – sedere; fuga – bagnasciuga).

Dal verso 5 in poi c’è la presenza di vocaboli contenenti le lettere “t” e “r” che esprimono un senso di durezza: la fatica del viaggio e del distacco con parole quali terra, mare, lacrime, salutare (in addio)…

La prima strofa è la descrizione del ragazzo con termini contrastanti: i pantaloni consumati al sedere e le scarpe nuove, una giacchetta (il diminutivo indica qualcosa di leggero, stretto, povero) e un berretto, e una cintura che serve per custodire i pochi soldi, pronti ad essere strappati.

Strofa 2

inizia con un’allitterazione con il suono “m”: “Ma mamma a me mi […]mi mettono”;

rima baciata per tutti i 4 versi;

De Gregori insiste su immagini che fanno contrasto: la nera nave (ancora allitterazione), con un colore che rappresenta il lutto, e “che non può affondare” ripetuto per ben due volte;

Mi rubano la vita: la fatica è la costante della vita, che porta via la giovinezza, le forze e le speranze di un futuro dignitoso.

Strofa 3

rima baciata aa, bb…

ancora anafora: figlio… figlio…

vocaboli:

pena, cuore: struggimento della madre che vede partire il figlio;

la nave se n’è andata: metafora che richiama l’immagine del figlio che è andato via; senza catene, senza camicia: il figlio ora è libero, ma nudo, cioè è esposto alle intemperie della vita, al mondo, che qui è inteso come portatore non di occasioni, ma di tragedie, come è evidenziato dall’aggettivo “cattivo” apposto all’oceano Atlantico;

Figlio già dimenticato: l’oblio è ciò che fa morire le persone, la morte è dimenticarsi il volto, l’identità a cui si appartiene.

Strofa 4

rima baciata aa, bb,

ripresa dell’incipit della seconda strofa e della ripetizione del verso “In questa nera nave…”

Sono presenti molti suoni in “s” e in “n”, che scivolano via nel cantato e danno l’impressione della nave che scivola tra le onde.

Le prime due strofe evidenziano la povertà culturale (l’italiano non so cosa sia) e l’asprezza della scelta di viaggiare ad ogni costo, contro ogni speranza.

La ripetizione dell’ultima strofa è tipica della canzone popolare, ma è anche la convinzione della scelta che il ragazzo sta facendo, dei suoi sogni e delle sue speranze.

Canzone 2

BARCAROLA ALBANESE

(Samuele Bersani – 1995)

L’autore

Samuele Bersani nasce a Rimini nel 1970, figlio di Raffaele (flautista) e di Gloria, che gli trasmette la passione per il cinema e la poesia. La sua casa a Cattolica è una specie di laboratorio di esperienze sonore, e già nei suoi primi anni Samuele sviluppa una forte sensibilità per la musica, cominciando a suonare spontaneamente qualunque strumento gli capiti a tiro. La peculiarità di Samuele Bersani è una ricerca musicale mai banale, con linee melodiche orecchiabili ma allo stesso tempo ricche di spostamenti di accenti, sperimentali, un insieme di liricità e di ritmiche irregolari. Ama la ricerca di storie, desunte dalla quotidianità (Chicco e Spillo), di ambito sociale (Barcarola Albanese o Occhiali rotti, in memoria di Enzo Baldoni), di critica politica (Lo scrutatore non votante), ma anche desunte dalla fantasia (Un Pallone), presentata all’ultimo festival di Sanremo (Premio Mia Martini). Ama anche scrivere per il cinema, come la colonna sonora del film di Aldo Giovanni e Giacomo “Chiedimi se sono felice” e “Siamo gatti”, motivo trainante della colonna sonora del cartoon “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare“, diretto da Enzo D’Alò e tratto dall’omonimo libro di Luìs Sépulveda.

Lo sapevi che…?

Composizione epica e commovente, piccola epopea cinematografica sulle traversie di un gruppo di immigrati clandestini.

Testo

1)
Vado veloce sopra questa noce
fuori pericolo,
le onde sono dei vetri, alte dei metri
però le supero
Il sole si sposta e già si vede la costa
qui dal binocolo
Puntare dritto in avanti con due stuzzicadenti
Remare al massimo!

2)
Per arrivare fino a Brindisi
pagherò
saremo liberi
per sempre
potremo visitare Rimini
vieni via! Ci sono i vigili…

3)
Che delusione, non c’è televisione
non mi riprendono
E’ stata qui fino a ieri, oggi è partita per Bari
oppure è sciopero
Appena arrivo ti scrivo, per adesso son vivo
qui sopra l’albero
Imparo bene le scritte, pannolini e pellicce
ma non mi servono

4)
Per arrivare fino a Brindisi
pagherò
e saremo liberi
per sempre
potremo andare insieme a Rimini
Vieni via! Ci sono i vigili…

Analisi letteraria e musicale

• La canzone ha una struttura semplice, con un accompagnamento al pianoforte e degli archi in secondo piano. L’inizio è un assolo al pianoforte, con enfasi sui bassi che creano un moto ondulatorio, quasi un ondeggiare del mare e delle sottolineature di archi. All’entrata della voce, i bassi dell’accompagnamento del pianoforte spariscono, quasi ad evidenziare un clima di calma e di speranza. Le note dell’accompagnamento musicale seguono la voce, l’accompagnano in maniera minimale. Il ritornello presenta ampie pause vocali, a sottolineare l’importanza delle parole, che sono scandite e ne seguono il climax ascendente.

• Dopo il ritornello, la struttura musicale viene ripetuta, con un delicato intervento degli archi sulle parole: “per adesso son vivo…” ad evidenziare l’importanza del verso e la drammaticità dell’esistenza. La musica continua con un vocalizzo cantilenato e dei suoni come di tuoni in sottofondo, per terminare con l’ultima nota bassa, che porta con sé il dramma della vicenda.

• Per quanto riguarda il testo letterario, è composto da 2 strofe, e 2 ritornelli; la prima e la terza sono 8 versi che presentano delle rime interne (veloce – noce, vetri – metri, sposta – costa…), il ritornello, che differisce solo per la prima frase, è composto da 6 versi con un’assonanza (Rimini-vigili) posta in conclusione.

• Nella strofa 1 sono presenti delle metafore, la noce rappresenta la barca; le onde sono paragonate a dei vetri, per il dolore che provoca l’infrangersi dell’onda sui volti delle persone che sono imbarcate. Nella strofa è presente il paradosso, tra l’andare veloce della barca su cui gli albanesi sono stipati, “remare al massimo”, che passa oltre le onde, quasi fosse una imbarcazione da alto bordo, e la “barcarola” effettiva, che è come una noce.

• Alcune allitterazioni sono presenti nel primo verso, con la presenza dei suoni va(do) e ve(loce) e il suono della “s” al quinto verso, che da il senso del navigare in direzione di approdo, con una atmosfera di tranquillità.

• Nel ritornello (2) le parole sono disposte in un climax ascendente: arrivare, pagare, esser liberi, per sempre, con un senso di speranza sempre più alto; mentre l’ultimo verso recupera la realtà della situazione: la clandestinità (vieni via! Ci sono i vigili). Da Brindisi a Rimini: le due città simbolo. Brindisi, porto di sbarco, di salvezza, di speranza; Rimini, città delle occasioni, del divertimento, di lavoro. Nell’ultimo verso del ritornello è presente un’altra allitterazione, con tre volte la presenza del suono “vi” (vieni via ci sono i vigili), con un senso di vento, di fuga veloce.

• Nella strofa 3 il testo è incentrato sul crollo delle aspettativenon c’è la televisione (che è un luogo comune italiano, secondo cui si dice che gli emigrati vedendo la televisione, gli spot pubblicitari, in cui si rappresentava la famiglia tipica italiana, felice e senza problemi, decidevano di scappare dal proprio Paese e di venire in Italia); non c’è il Paese che si aspettavano, non c’è l’accoglienza e i sorrisi… Per adesso son vivo: è già qualcosa, o forse è l’unica cosa che rimane a cui aggrapparsi: “per adesso” indica proprio la precarietà dell’esistenza, il vivere l’oggi, senza sapere cosa sarà a sera. Tutto il resto sembra non esser come si credeva, i cartelloni pubblicitari non indicano uno stare bene, costituiscono qualcosa a cui non è possibile accedere.

Canzone 3

PANE E CORAGGIO

(Ivano Fossati – 2003)

 

L’autore

Ivano Fossati (1951), autore di canzoni e polistrumentista, è nato a Genova e fa parte di quella corrente di cantautori genovesi che hanno contribuito all’evoluzione della canzone d’autore italiana.

Tema caro a Ivano Fossati è lo straniero, in tutte le sue sfaccettature e dimensioni, descritto in canzoni come Mio fratello che guardi il mondoItaliani d’ArgentinaL’Arcangelo.

 Lo sapevi che…?

Pane e coraggio si pone nel solco delle composizioni umaniste, dolenti di Fossati (e ha vinto il premio Amnesty Italia 2004). Dopo Italiani d’Argentina, ove il tema è la nostra emigrazione di un tempo, qui si parla delle peripezie di chi, oggi, per fuggire la miseria o le persecuzioni, s’imbarca verso l’ignoto, armato solo di pane e coraggio. L’invito, diretto e civile, è quello di cercare di comprendere la pena, lo smarrimento, l’angoscia degli altri, deprivati di tutto e, spesso, non rispettati neanche nella propria dignità.

 

Testo

1)
Proprio sul filo della frontiera
il commissario ci fa fermare
su quella barca troppo piena
non ci potrà più rimandare
su quella barca troppo piena
non ci possiamo ritornare.

2)
E sì che l’Italia sembrava un sogno
steso per lungo ad asciugare
sembrava una donna fin troppo bella
che stesse lì per farsi amare
sembrava a tutti fin troppo bello
che stesse lì a farsi toccare.

3)
E noi cambiavamo molto in fretta
il nostro sogno in illusione
incoraggiati dalla bellezza
vista per televisione
disorientati dalla miseria
e da un po’ di televisione.

4)
Pane e coraggio ci vogliono ancora
che questo mondo non è cambiato
pane e coraggio ci vogliono ancora
sembra che il tempo non sia passato
pane e coraggio commissario
che c’hai il cappello per comandare
pane e fortuna moglie mia
che reggi l’ombrello per riparare.

5)
Per riparare questi figli
dalle ondate del buio mare
e le figlie dagli sguardi
che dovranno sopportare
e le figlie dagli oltraggi
che dovranno sopportare.

6)
Nina ci vogliono scarpe buone
e gambe belle Lucia
Nina ci vogliono scarpe buone
pane e fortuna e così sia                   
ma soprattutto ci vuole coraggio
a trascinare le nostre suole
da una terra che ci odia
ad un’altra che non ci vuole.

7)
Proprio sul filo della frontiera
commissario ci fai fermare
ma su quella barca troppo piena
non ci potrai più rimandare
su quella barca troppo piena
non ci potremo mai più ritornare.

Analisi letteraria e musicale

  • L’inizio della canzone ha un andamento sincopato, di attesa, interrogativo, reso dai suoni lunghi della chitarra elettrica e dalla tastiera, che viene risolto solo con l’entrata del canto. Il ritmo è un tango, con la presenza della fisarmonica in entrata al termine della prima strofa. Il canto evidenzia bene gli accenti e quasi incespica come il viaggio dei rifugiati. La batteria in entrata dall’intermezzo musicale, dalla fine della seconda strofa in poi, marca molto gli accenti.
  • Le strofe 2 e 3, grazie all’incedere ritmico, procedono legate tra loro, quasi a render evidente la corsa del viaggio, senza sosta, tutto d’un fiato. Solo a metà della strofa 4 la musica si ritrae, per evidenziare ancor maggiormente le parole del testo (pane e coraggio commissario…) e creano una tensione che viene rilasciata all’inizio della strofa 5 con la ripresa della ritmica e della fisarmonica. Tra la  strofa 6 (che è la conclusione della canzone) e la 7 (che è la ripresa della prima strofa), c’è un intermezzo musicale, con il vocalizzo che duetta con la fisarmonica, tipico del mondo del jazz. La canzone potrebbe terminare così, mentre funge da introduzione per l’ultima strofa (che di fatto è la prima), dando un senso di circolarità alla canzone… così come il viaggio.

Vediamo ora alcune particolarità linguistiche presenti all’interno delle canzone:

Per quanto riguarda il testo della canzone, esso presenta una struttura a  7 strofe, di cui prima e ultima uguale; si trovano rime e assonanze in modello a-b, a-b, ma non con una struttura rigorosa:

Strofa 1

6 versi, di cui gli ultimi due ripetuti.

La presenza di parole con la vocale “r” rende il suono stridente e introduce già alla fatica del viaggio, così come i termini: frontiera, commissario, barca troppo piena, ritornare. Fossati tratteggia attraverso il suono e pochi vocaboli l’orizzonte in cui si svolge la scena.

Strofa 2

6 versi, privi di rime.

Il linguaggio muta e diventa dolce, lirico, con una presenza di parole con il suono “s”, che aumenta la musicalità del testo. L’Italia è identificata, attraverso la figura retorica della similitudine, ad una donna, accogliente, disponibile, come in un sogno.

Strofa 3

6 versi, con rima alternata nei primi 4 versi.

Si ritorna alla realtà, ci si desta dal sogno, dall’illusione, attraverso la congiunzione legata al pronome personale di prima plurale posto all’inizio “E noi”.

Molto evocativo il verbo “disorientati” che rimanda sia alla dimensione del viaggio, che è possibile fare solo se si è orientati sia, da un punto di vista interiore, alla delusione delle aspettative: non ci si aspettava miseria e povertà, condizioni che contrastano con ciò che si era immaginato attraverso la televisione.

Strofa 4

rappresenta il pensiero dell’autore, espresso con due parole ripetute per ben tre volte (che danno anche il titolo alla canzone). Il pane riporta alla fatica del vivere, all’elemento fondamentale di nutrimento. In una lettura più spirituale può evocare il pane spezzato nell’ultima cena da Gesù, anche luogo di tradimento e di umanità. Il coraggio è il carattere che serve per la sopravvivenza in questa vita: non solo il coraggio di partire verso una meta che non si conosce e di cui si ha solo un’idea (che la realtà contraddirà), ma anche il coraggio di continuare a vivere in un contesto precario, difficile, povero; contraddistinto dall’illegalità (commissario), in una quotidianità che si ripete sempre uguale. Le ultime due strofe introducono una preghiera, il coraggio è sostituito alla fortuna, con accezione ad un Qualcuno o qualcosa che va oltre la concretezza della vita, che può e deve riparare dagli oltraggi, dalle umiliazioni. E proprio l’azione del “riparare” è posta mediante la figura retorica dell’anadiplosi, che fa da ponte tra la 4 e 5 strofa.

Strofa 5

Questa strofa è composta da 6 versi, con la ripetizione quasi identica delle ultime due strofe.

I termini figli e figlie sono in ripetizione e si collegano da un parte al termine “moglie mia” della strofa precedente – che probabilmente ha un senso figurato indicando una personificazione di una divinità o della Fortuna – e dall’altra il concetto, caro a Fossati, dell’esser figli, creature, in qualche modo legati tra di noi in questa terra. (cfr. Mio fratello che guardi il mondo)

Strofa 6

8 versi con rime a-b a-b (ma non in modo rigoroso).

I primi 4 versi hanno suoni dolci, c’è un senso di misericordia nelle parole, quasi una raccomandazione, che si conclude con un “così sia”, tipico della preghiera. È un rimando alla sacralità della vita e alla condizione in cui a volte si deve vivere. Di grande effetto poetico sono i due nomi delle ipotetiche ragazze costrette a vendersi in posizione di chiasmo, all’inizio e alla fine dei due versi.

Negli ultimi 4 versi i suoni si fanno più aridi, duri (presenza delle lettere p, r, t) e delle parole come “trascinare”, “suole”, “odia” . Il tema del viaggio è all’apice nelle le ultime strofe, che sono una sentenza drammatica e tragica:  andare da una terra che ci odia  ad un’altra che non ci vuole.

La canzone si conclude riprendendo la prima strofa, formando in tal modo un ciclo continuo, come continui sono gli approdi sulle coste, continui sono gli incontri con i commissari, i sogni e le illusioni, le violenze e i tradimenti…

Canzone 4

ROCK – GIANMARIA TESTA

(Gianmaria Testa – 2006)

L’autore

Gianmaria Testa nasce in provincia di Cuneo in una famiglia di agricoltori in cui era vivissimo l’amore per la musica e il canto. L’ambiente familiare lo incoraggia a studiare musica come autodidatta: Gianmaria sceglie la chitarra come strumento e comincia a comporre appena appresi i primi rudimenti. Inizialmente svolge la professione di ferroviere, precisamente quella di capostazione allo scalo ferroviario principale di Cuneo.

Il debutto di Testa avviene come strumentista rock; tuttavia l’artista non tarda a scoprire una forte identità di solista. Dopo aver vinto il Festival musicale di Recanati dedicato ai nuovi talenti della canzone d’autore nel 1993 e 1994, incontra Nicole Courtois, produttrice francese, che ne comprende la forza espressiva: nel 1995 esce in Francia, per l’etichetta Label Bleu (Amiens), il suo primo disco, intitolato Montgolfières.

Lo sapevi che…?

La canzone Rock è tratta da un concept album totalmente dedicato al tema delle migrazioni moderne, riflessione poetica, aperta e senza demagogia sugli enormi movimenti di popoli che attraversano questi nostri anni. Sulle dure ragioni del partire, sulla decisione sofferta, di attraversare deserti e mari, sul significato di parole come “terra” o “patria” e sul senso di sradicamento e di smarrimento che lo spostarsi porta sempre con sé. “Da questa parte del mare” ha ricevuto la Targa Tenco 2007 come miglior album dell’anno.

Testo

1)
Ma non era così
che mi avevano detto, il mare
no, non era così
e poi tanto di notte
cosa vuoi mai vedere
qui c’è uno che grida
che dice ch’è tardi
e bisogna partire
qui c’è uno che grida
e si deve partire.

2)
E mio padre non c’è
è rimasto da solo a masticare la strada
perché dice che tanto
sarà guerra comunque
e dovunque si vada
l’ho lasciato alla porta di casa
che sputava per terra
come fosse un saluto
l’ho lasciato che sputava per terra
come se fosse un saluto.

3)
Ma non era così
che mi credevo di andare
no, non era così
come un ladro, di notte
in mano a un ladro di mare
e mio padre alla porta di casa
che guardava per terra
come se avesse saputo
e mio padre che guardava per terra
come se avesse saputo.

Analisi letteraria e musicale

  • Il brano viene introdotto dal suono di un clarinetto, che utilizza delle scale arabe, con degli armonici alla chitarra, che creano un’atmosfera orientaleggiante, che si affievolisce sempre più. Dopo una pausa, un silenzio che crea attesa, il primo verso è cantato dall’autore senza accompagnamento musicale, essendo fatto da parole mono – bisillabiche, e con una parola tronca in fine di verso, con un risultato molto aspro e duro. Questa sensazione è enfatizzata anche dall’entrata della chitarra, con una pennata molto dura e secca, che è quasi un primo colpo di remi che spinge la barca in mezzo al mare. L’accompagnamento è minimale, (chitarra ritmica, qualche inserto di chitarra elettrica e percussioni) per rispecchiare la struttura della prima strofa. La voce di Gian Maria Testa non è armoniosa, ma piuttosto rude, quasi parlata.
  • A metà della seconda strofa, per evidenziare il pensiero del padre, la musica si arricchisce di sonorità più dure, attraverso la chitarra elettrica e la batteria, con una parte di assolo con chitarra distorta. La terza strofa riprende la dinamica della prima, cioè parte in maniera piuttosto minimale, per poi crescere. La canzone si conclude con una parte strumentale che inizia con delle note di chitarra basse e ripetute e prosegue con l’inserimento del clarinetto, su cui si inserisce un vocalizzo dell’autore su un armonia arabeggiante.

Vediamo ora alcune particolarità linguistiche presenti all’interno delle canzone:

Dal punto di vista testuale la canzone è strutturata con 3 strofe da 10 versi liberi.

Strofa 1

Ha nei primi 4 versi la presenza dell’allitterazione con suono “no”, che dà subito una connotazione faticosa e drammatica alla canzone. La presenza di un lessico composto da termini mono-bisillabici crea una sensazione di strettezza, di tensione drammatica, un respiro affannoso e breve; così come i vocaboli contenenti i suoni r, gr, rd, rt in finale di verso suscitano un’atmosfera dura e acre.

In verso 1-2 presenta un’efficace anastrofe, con il termine “mare” alla fine del secondo verso, che crea l’effetto dell’onda (da “Ma” a “detto” c’è una tensione in avanti, mentre il vocabolo “mare” dà un senso di rilascio, come un’onda che accumula acqua e poi si infrange).

I verbi “bisogna”, “si deve” implicano necessità, dovere, non scelta libera: un viaggio che non appartiene all’orizzonte della libertà di scelta, ma a quello della costrizione.

Strofa 2

La strofa comincia con la congiunzione “E”, che crea un effetto di stacco improvviso, aumentando il crescendo del dramma, che diventa esistenziale e produce una ferita profonda.

In questa strofa cinque sono i concetti fondanti dell’esperienza umana di chi sta partendo, che si aggiungono al dramma esistenziale:

1)         mio padre: aggettivo che indica appartenenza intima alla figura paterna;

2)         non c’è: mancanza, privazione di ciò che è fondante dell’esistenza;

3)         Masticare la strada: allitterazione nel suono “st”, all’interno della frase, rimanda ad una sensazione di aridità, di stanchezza, di povertà;

4)         ovunque e dovunque: una ripetizione che evidenzia la disperazione per il futuro, una totale negazione di speranza;

5)         sputo e saluto (con allitterazione sputo e saluto) è l’ultimo segno che il figlio si ricorda del padre, in un gesto contrastante, drammatico, carico di tensione (la ripetizione del verso evidenzia proprio l’importanza del significato).

Strofa 3

L’incipit è con la congiunzione avversativa “ma”, riprende il primo verso della canzone e indica una situazione inaspettata. L’idea era che andasse in altro modo: si scappa da una violenza per ricaderne in un’altra.

Mi credevo di andare: il pronome “mi” rafforza l’intensità del testo, è una stonatura, ma enfatizza la scelta della partenza.

Come un ladro di notte, in mano ad un ladro di mare: sentirsi nella stessa condizione di un ladro, che fugge nella notte (ma senza aver commesso delitti), e mettersi nelle mani di un altro ladro, di mare, riferendosi a coloro che traghettano dalle sponde dell’Africa in Italia. L’angoscia di dipendere da gente senza scrupoli che non si conosce, eppure sembra essere l’unica via.

Negli ultimi 4 versi, ritorna la figura del padre, che sembra sapere già quale è il destino di chi fugge. Gli occhi rivolti per terra indicano proprio la sfiducia nell’azione che si fa, non c’è speranza per chi fugge, c’è solo desolazione.

Canzone 5

NON È UN FILM

(Fiorella Mannoia – 2012)

 

Autore

Fiorella Mannoia nasce a Roma, e diviene interprete di canzoni dei più grandi cantautori italiani, da Fossati, a Bertoli, da Barbarossa a De Gregori. Ha diviso il palcoscenico con Ruggeri, Dalla e Ron. Ha contribuito a far conoscere la musica brasiliana in Italia, in particolare la bossa nova di Chico Buarque De Hollanda o di Caetano Veloso.

Nel 2012 pubblica il cd Sud che diventa l’occasione per parlare, in un ventaglio di musiche esotiche, della difficile situazione del sud del mondo.

Lo sapevi che…?

Fiorella Mannoia spiega così l’evoluzione della canzone “Non è un film”, scritta da Frankie Hi-Nrg: “Quando ho contattato Frankie per questo mio ultimo progetto intitolato ‘Sud’ gli ho fatto una richiesta ben precisa, volevo che toccasse il tema dell’immigrazione, ne parlammo e ci scambiammo le nostre idee. Concordavamo sul fatto che stiamo vivendo un momento storico molto delicato, in cui una parte del Paese, non tutto per fortuna, si lascia influenzare dal terrorismo delle parole (non meno pericoloso del terrorismo delle armi) di una parte della politica che per meri fini di propaganda elettorale usa gli immigrati, non avendo altri argomenti, per diffondere l’antico germe dell’odio razziale, mettendo in pratica l’antica tattica del ‘divide et impera’, dimenticando (o meglio, facendo finta di dimenticare) che tutto il benessere dell’Occidente poggia sulle spalle di interi Paesi del Sud del mondo, Africa in testa, saccheggiati da una politica predatoria della quale tutti i governi sono responsabili”.

Con questa canzone la Mannoia nel 2012 vince il Premio Voci per la libertà – Una canzone per Amnesty. Consegnando il premio Christine Weise, presidente di Amnesty International Italia dice: “Questo brano racconta la fuga di chi spera di salvarsi da persecuzione e sofferenza attraversando il Mediterraneo a bordo di un’imbarcazione precaria. È la vita vera di giovani cittadini africani che cercano umanità e protezione e trovano spesso razzismo e propaganda. I 1500 morti del 2011, annegati in mare sulla via verso l’Europa, non sono un film, sono veri anche loro. E sono vere le migliaia di vittime della tratta sulle strade italiane, costrette alla prostituzione e accolte come ‘carne fresca’ da clienti che chiudono gli occhi davanti alla propria complicità nel mercato delle schiave”.

 Testo

MANNOIA:
Non è un film
quello che scorre intorno
che vediamo ogni giorno
che giriamo distogliendo lo sguardo.
Non è un film
e non sono comparse
le persone diverse
sospese e disperse
tra noi e lo sfondo,
e il resto del mondo
che attraversa il confine
ma il confine è rotondo
e si sposta man mano
che muoviamo lo sguardo
ci sembra lontano
perché siamo in ritardo,
perenne, costante,
ne basta un istante,
a un passo dal centro
è già troppo distante,
a un passo dal mare
è già troppo montagna,
ad un passo da qui
era tutta campagna.
Oggi tutto è diverso
una vita mai vista
questo qui non è un film
e non sei protagonista,
puoi chiamare lo stop
ma non sei il regista
ti puoi credere al top
ma sei in fondo alla lista

NATTY FRED:…

MANNOIA:
questo non è un film
e le nostre belle case non corrono
il pericolo di essere invase,
non è un armata aliena
sbarcata sulla terra,
non sono extraterrestri
che ci dichiaran guerra,
son solamente uomini
che varcano i confini,
uomini con donne,
vecchi con bambini,
poveri con poveri
che scappan dalla fame
gli uni sopra gli altri
per intere settimane
come in carri bestiame,
attraverso il deserto
rincorrono una via
in balia dell’incerto
per rimanere liberi
costretti a farsi schiavi
stipati nelle stive
di disastronavi
come i nostri avi
contro i mostri e i draghi
in un viaggio per l’inferno
che prenoti e paghi
sopravvivi o neghi
questo il confine
perché non è un film
non c’è lieto fine

FRANKY HI-NRG:
questo sembra un film
di quelli terrificanti
dalla Transilvania non arrivano vampiri ma badanti,
da Santo Domingo
non trafugan zombie,
ma ragazze condannate
a qualcuno che le trombi
dalle Filippine colf e pure dal Bangladesh
dalla Bielorussia solo carne da lap dance
scappano per soddisfare
vizi e sfizi nostri
loro son le prede
noi siamo i mostri
loro la pietanza
noi i commensali
e se loro son gli avanzi
noi siam peggio dei maiali
pronti a divorare a sazietà
ma pronti a lamentarci
per la puzza della varia umanità
che ci occorre, ci soccorre, ci sostenta
questo non è un film
ma vedrai che lo diventa
tu stai attento e tienti pronto
che al momento di girare i buoni vincon sempre,
scegli da che parte stare.

NATTY FRED:…

INSIEME:
scegli da che parte stare, dalla parte di chi spinge, scegli da che parte stare, dalla parte del mare

NATTY FREDDY:…

INSIEME:
scegli da che parte stare, dalla parte di chi spinge, scegli da che parte stare, dalla parte del mare

NATTY FREDDY:…

INSIEME:
scegli da che parte stare, dalla parte di chi spinge, scegli da che parte stare, dalla parte del mare

NATTY FREDDY:…

Analisi letteraria e musicale

  • La musica ha un inizio molto minimale, con il pianoforte che alterna note lunghe basse e acute, in maniera molto cadenzata, su cui entra la voce di Fiorella Mannoia, rispettando la cadenza rap, ma con un modo di cantare più dolce, quasi un parlato. Entrano successivamente un suono di arpa e le percussioni che incominciano a dare il ritmo incalzante alla canzone. Infine la batteria, diverse chitarre etniche e una voce in sottofondo che è come un grido aumenta il crescendo. Frankie Energy entra dalla terza strofa, che è quella con il testo più duro.
  • Da un punto di vista testuale, la canzone è in forma di rap, ossia presenta una struttura che pone gli stessi accenti sulla ritmica musicale. All’interno sono presenti soprattutto forme metriche quali settenari ed endecasillabi (che sono metri molto musicali). Tipico della struttura del rap è avere molte rime interne, come possiamo vedere sin dalla prima strofa.
  • Non è un film, è in anastrofe, e ritorna come il motivo principale, quasi percussivo. Ciò che si vuole evidenziare è l’atteggiamento che sembra esserci nella società, ormai abituata a vedere alla televisione scene di sbarchi e di clandestini e a non porre più l’attenzione sull’umanità di questa gente che soffre (non sono comparse le persone…). Si accenna anche all’elemento dello spazio, i confini sembrano lontani, ma forse ormai non ha più senso parlare di confini dietro i quali nascondersi e proteggersi. L’immigrazione è una dinamica che è cominciata e non può arrestarsi come in un film quando il regista dice stop.
  • La seconda strofa ha come tema il pregiudizio, ormai entrato nella società, che lo straniero è pericoloso – identificato alla stregua degli alieni – o come colui che vuole invadere le case (belle case, con ironia, di una società borghese). Nella seconda parte si descrive il viaggio che ha dovuto sopportare e affrontare il migrante, che è in contrasto con le belle case in cui la gente vive.
  • Viene utilizzato il paradosso: “per rimanere liberi costretti a farsi schiavi”, la libertà va ottenuta con l’essere schiavi. Gli ultimi versi riprendono l’idea dell’epos, o dei racconti di fantasia, di un viaggio tra mostri, draghi e inferni, che però “prenoti e paghi”, in cui forte è l’ironia e la rabbia e, al contrario dei racconti di avventura, non esiste il lieto fine.
  • Nella terza strofa, a rima baciata, si enumerano le nazionalità delle ragazze che arrivano in Italia o come prostitute o come badanti e colf (che forse è solo un altro modo per essere schiavi, sembra dire tra le righe l’autore). Il punto di vista viene invertito, chi è il mostro? Nel nostro modo di vedere sembra che il pericolo venga dallo straniero, in questi casi chi approfitta delle ragazze sono gli occidentali, divenendo i mostri, mentre le straniere assumono la connotazione dell’agnello sacrificale. La metafora del banchetto ricorda la dinamica del banchetto di Erode descritto nei vangeli, durante il quale viene portata la testa di san Giovanni il Battista!
  • La fine della canzone prospetta il mondo diviso in buoni e cattivi, come avviene nei film in cui i buoni, alla fine delle disavventure, vincono. Si pone, a questo punto, una domanda esistenziale: tu da che parte stai?