La trama

«La frontiera corre sempre nel mezzo» scriveva Leogrande. Una linea perlopiù impercettibile eppure profonda, che scava solchi e divide vite. Una parola entrata a far parte del nostro quotidiano perché sempre più legata al fenomeno delle migrazioni. Se fino a qualche anno fa si parlava di un’Europa, di un mondo senza frontiere, globalizzato, cosmopolita, negli ultimi anni si è tornato prepotentemente a parlare di confini e frontiere come limiti, muri e barriere. Eppure, solo quando cerchiamo di definire la parola “frontiera” ci rendiamo conto che non è facile farlo; questo perché dipende da chi sta parlando e da dove sta guardando.
In questo libro, Leogrande racconta, in un intreccio di storie, diversi episodi e temi (le operazioni militari nel Mediterraneo per contrastare l’immigrazione, le storie dei sopravvissuti ai naufragi, quelle degli scafisti, il percorso delle migrazioni attraverso i Balcani, la realtà dei Centri di Identificazione ed Espulsione in Italia) dando spazio alle emozioni delle persone che ci porta a scoprire nel suo racconto e alle diverse scelte fatte da ciascuno di loro.
Perché si parte senza una destinazione certa? Cosa prova chi superando una frontiera si trova a recidere legami familiari e personali? Perché lasciarsi tutto alle spalle?
L’esperienza del viaggio – sempre «traumatica» – secondo l’autore riguarda milioni di migranti, persone, esseri umani, non meri numeri o dati statistici, ognuno di loro portatore di una storia, di un racconto caratterizzato da orrori, sofferenze e, soprattutto, speranze, troppo spesso naufragate in quel mare di uomini che è tristemente diventato il Mediterraneo. Ed è proprio da qui che parte il racconto di Leogrande, dalla strage del 3 ottobre del 2013, una tragedia che ha visto 368 migranti morire davanti all’isola di Lampedusa; persone che hanno provato a varcare quella frontiera europea, che non è solo il mare, ma anche la nostra «ignoranza», la nostra indifferenza rispetto a quanto accade non lontano da noi.

Un brano

Per la prima volta, quella sera, ebbi la sensazione di quanto fosse difficile capire la vita prima del viaggio, l’ammasso di eventi che precede ogni partenza, per decine, centinaia di migliaia di migranti che si riversano ai confini della frontiera europea. Eppure nessuno inizia a vivere nel momento in cui l’imbarcazione che lo trasporta appare davanti alle nostre coste: il viaggio ha avuto inizio prima, anche anni prima, e i motivi che l’hanno determinato sono spesso complicati.
Non sono tanto le motivazioni individuali ad apparire incomprensibili. Chiunque parta lo fa per scappare da una situazione divenuta insopportabile, o per migliorare la propria vita, per dare un futuro dignitoso alla moglie o ai figli, o semplicemente perché attratto dalle luci della città, dal desiderio di cambiare aria. No, non è questo ad apparire incomprensibile. Ad apparirci spesso incomprensibili sono i frammenti di Storia, gli sconquassi sociali, le fratture globali che avvolgono le motivazioni individuali, fino a stritolarle. Incomprensibili perché provengono letteralmente “da un altro mondo”.

[…] È così che ho sviluppato questa ossessione. Provare a rendere quel nulla un po’ meno nulla. Provare a oltrepassare la categoria di “vittima”, che non spiega niente della complessa vita degli esseri umani. Provare a dipanare i fili di eventi che a prima vista paiono incomprensibili nel loro ginepraio di violenza, lutti, oppressione, che pure determina la vita di tanti.
[…] Se le coste europee non possono essere che frontiera, tanto vale provare a fissare sulla sabbia alcuni dettagli, alcuni brandelli di esistenza, che altrimenti verrebbero meno col venir meno delle persone. La frontiera è un termometro del mondo. Chi accetta viaggi pericolosissimi in condizioni inumane, attraversando i confini che si frappongono lungo il suo sentiero, non lo fa perché votato al rischio o alla morte, ma perché scappa da condizioni ancora peggiori. O perché sulla sua pelle è stato edificato un mondo che gli appare inalterabile.

© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

L’autore

Alessandro Leogrande nasce a Taranto nel 1977 e nel 1996 si trasferisce a Roma dove si laurea in filosofia all’Università La Sapienza. Ha scritto per numerosi giornali e riviste, tra cui «Internazionale», «Panorama» e «Il Fatto Quotidiano», e ha condotto trasmissioni radiofoniche per Radio Rai 3. È stato editorialista del «Corriere del Mezzogiorno» e vicedirettore del mensile «Lo Straniero». Autore di libri di inchiesta sulle nuove mafie, i movimenti di protesta, lo sfruttamento dei braccianti stranieri, si è occupato anche delle migrazioni dai Balcani e dall’Africa.
È morto improvvisamente a Roma il 26 novembre 2017. Di lui, oltre ai suoi numerosi scritti, si ricorda il suo lavoro contro ogni forma di sopruso in difesa degli ultimi e degli sfruttati: dalle vittime del caporalato, ai migranti, fino ai desaparecidos in Argentina. E proprio La frontiera può essere considerato come uno dei suoi lavori più attenti sulla cronaca che ha trasformato enormemente la storia dell’umanità intera.

Temi per la riflessione

• La frontiera si apre con il capitolo “Vedere, non vedere”, un titolo che per cinque volte, a ragione, ritorna e scandisce il libro. Al suo interno Leogrande ci racconta la storia di Shorsh, un ragazzo arrivato in Italia durante la prima ondata di profughi curdi in fuga dall’Iraq di Saddam Hussein tra il 1998 e il 1999. È grazie a Shorsh e ad una videocassetta che custodiva gelosamente che Leogrande viene a conoscenza di una realtà, “di una storia”, di cui per sua stessa ammissione non ne sapeva abbastanza. Le immagini della videocassetta ritraevano il massacro di Halabja, una cittadina curda dell’Iraq. Il 16 marzo 1988, nel corso della guerra Iran-Iraq, l’esercito iracheno bombardò la città e uccise con delle armi chimiche circa 5000 curdi, più del doppio vennero feriti e molti rimasero per sempre invalidi. Una rappresaglia contro la popolazione curda che non aveva frapposto sufficiente resistenza al nemico iraniano. Oggi l’attacco contro i curdi di

Halabja è riconosciuto come uno dei più grandi massacri condotti attraverso l’uso delle armi chimiche nella storia dell’uomo.
Il XX secolo è stato definito “il secolo dei genocidi” o “il secolo dei totalitarismi” ed è in genere considerato come un periodo in cui la violenza, lo sterminio di massa e la guerra hanno raggiunto livelli senza precedenti.
Lo potremmo intendere come una forma di guerra diretta contro uno o più gruppi umani, piuttosto che contro qualche Stato, con l’obiettivo di sterminarli. Conosciamo molti esempi di genocidio: da quello degli herero in Sudafrica, perpetrato dai tedeschi al principio del Novecento, a quello degli armeni, condotto dai turchi (ben coadiuvati dai curdi) durante la Prima Guerra Mondiale; nella Seconda Guerra Mondiale conosciamo quello contro gli ebrei e i rom e, nel secondo dopoguerra sono ancora nella nostra memoria il genocidio del Rwanda, contro i tutzi, quello compiuto dai khmer rossi in Cambogia e quelli balcanici. A questi esempi potremmo aggiungerne molti altri. Al genocidio in quanto tale va assimilata la “pulizia etnica”, che consiste nell’impiego della violenza e del terrore al fine di eliminare la presenza di alcune minoranze, in un determinato territorio, uccidendole o costringendole alla fuga.

• Il greco ricorre al termine “horos” per definire il “confine”, la frontiera che separa due terre ma anche la pietra che ne segnala concretamente il limite. Horos indica, per estensione, anche il criterio che consente di definire un concetto o un’esperienza, la norma che separa e definisce. Fissare un confine significa, infatti, anche riconoscere una differenza, un’alterità.
Nel mondo antico il concetto di confine (in latino finis e limes/limen) occupa una posizione di assoluto rilievo. Senza la definizione di limiti spaziali, temporali, sociali, nulla sarebbe stato creato, nulla avrebbe avuto un nome e un’identità riconoscibili. Il limite è, dunque, l’elemento ordinatore del mondo ma anche lo strumento che l’uomo si è dato per tenere a bada la paura dell’infinito (in greco tò apeiron) “il senza confine”.
In seguito, il concetto di limite, confine, si è spostato a definire e proteggere Stati e popolazioni. Dalla Grande Muraglia Cinese a quella di Adriano, dalla Linea Maginot al Muro di Berlino, la storia ha conosciuto molte barriere “difensive” e divisive. Sin dal Novecento, l’Europa ha convissuto tra limiti e barriere, ad esempio le trincee della Prima Guerra Mondiale, i diversi fronti della Seconda e poi il Muro di Berlino che ha marcato «il mondo di qua e il mondo di là». Ora che il Muro è caduto, il terzo millennio si è aperto con una nuova età dei muri. In dieci anni, sono stati costruiti nel mondo circa diecimila chilometri di barriere. Oggi la frontiera si è spostata «ai bordi dell’Europa». È da qui che le persone bussano e ci ricordano che bisogna proteggere le persone, non i confini.

Per approfondire

Nel suo libro-ricerca Leogrande traccia, grazie alle testimonianze dei sopravvissuti, il viaggio intrapreso da alcuni migranti, perlopiù eritrei, che culminerà con il tragico naufragio del 3 ottobre 2013. In quella notte, a poche miglia dalle coste di Lampedusa, 368 persone persero la vita in quella che, ad oggi, è una delle più grandi catastrofi avvenute nel Mediterraneo negli ultimi tempi. A due settimane dalla strage di Lampedusa, il Governo italiano attivò l’operazione di ricerca e soccorso in mare chiamata “Mare Nostrum”, che prima della sua conclusione il 31 ottobre del 2014, ha soccorso e portato in salvo 156mila uomini, donne e bambini migranti. A seguito della strage di Lampedusa, il 16 marzo 2016 il Senato italiano ha approvato l’istituzione della “Giornata in Memoria delle Vittime dell’Immigrazione”, volta a creare una memoria e una cultura dell’informazione e dell’accoglienza. Questa “Giornata della Memoria e dell’Accoglienza” si celebra il 3 ottobre di ogni anno e coinvolge diversi Comuni, comunità locali e, in particolare, numerose scuole distribuite su tutto il territorio nazionale. Le attività di commemorazione e sensibilizzazione prevedono anche la partecipazione diretta di rifugiati, sopravvissuti e parenti delle vittime del naufragio del 3 ottobre 2013 e di altre stragi in mare.