La trama

È un libro fortemente autobiografico composto da sette racconti in cui è possibile rintracciare un filo conduttore.
Gli anni ’70 e l’America Latina scossa da venti rivoluzionari, un itinerario di viaggio splendido, popolato da incontri bizzarri ed esperienze indimenticabili. Pagine a volte drammatiche, a volte fortemente ironiche. Un protagonista che non si rassegna allo stato delle cose, ma anzi cerca in tutti modi una via d’uscita: un luogo utopico in cui la dittatura non esista e la libertà sia sancita per legge.
A fare da sfondo al romanzo gli ideali inseguiti per passione dal giovane Sepúlveda, fino al raggiungimento di quella frontiera tanto agognata: l’Andalusia, terra d’origine dei suoi nonni.
Guanda 1994, 125 pp.

Einaudi 2011, 123 pp.

Un brano

A partire dal 1973 più di un milione di cileni si lasciarono alle spalle il loro paese malato, magro e lungo. Alcuni costretti all’esilio, altri che fuggivano dalla paura verso la miseria, e altri ancora con la semplice idea di tentare la fortuna nel nord. Questi ultimi avevano una sola meta: gli Stati Uniti.
La maggior parte di loro convertiva i pochi averi in un biglietto di corriera per Guayaquil o per Quito. Pensavano che da lì sarebbe bastato fare quattro passi per ritrovarsi subito nel nord, nella terra promessa. Dopo vari giorni di viaggio scendevano dalle corriere pieni di crampi, sudati, famelici, e appena prese le prime informazioni su come continuare il viaggio scoprivano che il Sudamerica è enorme, e che, per maggiore disgrazia, in Colombia la strada panamericana scompariva inghiottita nella selva. Restavano in mezzo al mondo come barche alle deriva: senza presente né futuro. (p. 85)

L’autore

Nato in Cile nel 1949, Luis Sepúlveda ha lasciato il suo Paese al termine di un’intensa stagione di attività politica, conclusasi drammaticamente con l’incarcerazione da parte del regime del generale Pinochet e l’esilio. Ha viaggiato a lungo in America Latina e poi nel resto del mondo. Dopo aver risieduto ad Amburgo e a Parigi, vive attualmente in Spagna, nelle Asturie. Autore di libri di poesia e racconti, ha conquistato la scena letteraria con il suo primo romanzo, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, apparso per la prima volta in Spagna nel 1989 e in Italia nel 1993.

Temi per la riflessione

• La letteratura ha sempre giocato un ruolo importante nella vita politica e sociale del Cile. Due sono stati i Premi Nobel (Gabriela Mistral e Pablo Neruda) e molti gli scrittori di talento conosciuti anche all’estero, tra cui Francisco Coloane, Luis Sepúlveda e Isabel Allende. La dittatura di Pinochet, nella sua sistematica violazione dei diritti umani, ha colpito duramente i valori socioculturali del Paese e, di conseguenza, l’opera dei letterati cileni. A partire dall’11 settembre del 1973, la giunta militare iniziò a trasmettere, via radio e televisione, le 41 ordinanze del nuovo “quadro culturale” e la n. 26 annunciava la distruzione della casa editrice statale Quimantu. Ciò segnò l’inizio della scomparsa di molti editori e librerie e l’esilio all’estero di diversi scrittori. Ada, una delle protagoniste del libro, incarna il dramma dell’esilio: tragica sorte capitata a un’intera generazione di intellettuali e letterati cileni degli anni ’70.

• La stanza degli interrogatori era preceduta da una sala d’aspetto, come un ambulatorio medico. Lì ci facevano sedere su una panca con le mani legate dietro la schiena e un cappuccio nero in testa. Non ho mai capito la ragione del cappuccio, perché una volta dentro ce lo toglievano e potevamo vedere chi ci interrogava, i soldatini che con espressione di panico giravano la manovella del generatore elettrico, gli infermieri che ci applicavano gli elettrodi all’ano, ai testicoli, alle gengive, alla lingua, e poi ci auscultavano per decidere chi fingeva e chi era davvero svenuto sulla “griglia” (p. 26).
Un capitolo del libro è dedicato al carcere e alla tortura che veniva inflitta ai prigionieri politici. Ancora oggi moltissimi richiedenti asilo e rifugiati che giungono in Europa sono vittime di tortura.
La tortura non ha nulla di casuale. È una tecnica che viene insegnata sistematicamente e il cui vero obiettivo non è l’estorsione di informazioni, ma la distruzione della personalità di chi viene torturato. “Nessuna circostanza eccezionale, quale che essa sia, che si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, di instabilità politica interna o di qualsiasi altro stato di eccezione, può essere invocata per giustificare la tortura”, afferma la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura (1984).

Per approfondire

• Niente asilo politico di Enrico Calamai (Feltrinelli 2006) è un interessantissimo documento su un aspetto poco considerato delle dittature degli anni Settanta in America Latina. Questa toccante e lucida testimonianza dell’autore, viceconsole e poi console italiano a Buenos Aires tra il 1972 e il 1977, mette in luce come gli italiani in Argentina siano stati protagonisti di difficili storie di immigrazione, ma anche di vera e propria persecuzione e tortura. Un libro istruttivo, doloroso, che mostra come la violenza di Stato possa essere spietata e, allo stesso tempo, discreta, forte del silenzio-assenso, se non addirittura della complicità delle stesse democrazie occidentali che pure hanno fatto della condanna di altri regimi uno slogan politico. Calamai racconta una delle pagine più buie della storia recente e fa emergere come la tortura, la repressione e la persecuzione non siano episodi residuali in qualche Paese lontano, ma siano più vicine che mai al nostro quotidiano, anche se abilmente camuffate da sempre più abili strategie di comunicazione.

• Il viaggio come metafora della vita è ricorrente nella letteratura e nella filmografia contemporanea. Oltre a quello di Sepúlveda un altro interessantissimo viaggio attraverso l’America Latina è quello affrontato dai protagonisti de I diari della motocicletta (Gran Bretagna /Germania /USA 2004).
Buenos Aires 1952. Alberto Granado ed Ernesto Guevara de la Serna, 29 e 23 anni, si mettono in viaggio in sella ad una vecchia moto detta “La Poderosa” per andare alla scoperta dell’America Latina. Il loro viaggio durerà otto mesi, sarà ricco di traversie ed imprevisti, ma anche di esperienze che contribuiranno a formare le loro idee e la loro personalità. Un viaggio alla scoperta di una realtà sociale e politica che all’epoca la maggior parte dei latinoamericani ignorava. L’inquietudine della giovinezza, gli ideali che iniziano a formarsi, l’insaziabile amore per il viaggio porteranno i due ragazzi a percorrere migliaia di chilometri, dall’Argentina al Cile, dal Perù alla Colombia al Venezuela, alla scoperta di civiltà prossime ma sconosciute, di tradizioni dimenticate, di lingue antiche. Alberto ed Ernesto però, toccheranno con mano anche le pene del popolo sudamericano, vessato da povertà e malattie, schiacciato da continue violazioni dei diritti umani. Basato sui diari scritti da Alberto Granado e da Ernesto Guevara, il film diretto da Walter Salles (regista anche di Central do Brasil, di cui consigliamo la visione per approfondire la conoscenza sulle dittature nell’America Latina degli anni ‘70) ci rimanda l’immagine di due ragazzi che, ignari del loro futuro, si avventurano carichi di aspettative in un viaggio che li cambierà per sempre.

Nei panni dei rifugiatischeda 1scheda 6scheda 8