La trama
Siamo abituati a considerare l’asilo politico come qualcosa che riguarda gli altri, gli “stranieri”. Questa toccante e lucida testimonianza di Enrico Calamai, vice console e poi console italiano a Buenos Aires tra il 1972 e il 1977, mette in luce come gli italiani in Argentina siano stati protagonisti di difficili storie di immigrazione, ma anche di vera e propria persecuzione e tortura. Un libro istruttivo, doloroso, che mostra come la violenza di Stato possa essere spietata e, allo stesso tempo, discreta, forte del silenzio-assenso, se non addirittura della complicità, delle stesse democrazie occidentali che pure hanno fatto della condanna di altri regimi uno slogan politico. Enrico Calamai racconta la sua esperienza di impegno civile, che ha salvato la vita a moltissime persone, senza tuttavia assumere mai i toni dell’autocelebrazione o del trionfalismo. La vicenda resta una delle pagine più buie della storia recente e fa emergere come la tortura, la repressione e la persecuzione non siano episodi residuali in qualche Paese lontano, ma siano più vicine che mai al nostro quotidiano, anche se abilmente camuffate da sempre più abili strategie di comunicazione.

Feltrinelli 2006, pp. 212

Un brano
“Dopo aver riposto le speranze nel consolato, i familiari si ritrovano in mano soltanto le risposte che la polizia ha già dato loro, che continua a ripetere contro ogni credibilità: sarà andato al mare o in Europa o comunque in vacanza. O tornerà dopo una fuga d’amore. O è entrato in clandestinità perché militante della lotta armata. Tornerà, se non ha fatto nulla di male. I familiari sanno che tutto ciò è falso. Sanno che a portare via il loro figlio o fratello sono stati proprio i militari. Non sono sorpresi dell’arrogante mentire della polizia, né dell’acquiescenza servile della magistratura. Ma il modo in cui è strutturata la mente umana impedisce loro di perdere ogni speranza, malgrado l’angoscia che li attanaglia. Non riescono a concepire l’idea che quella vita all’improvviso portata via, mentre era a tavola o dormiva o era al lavoro, o per strada con il bambino, possa non riapparire più. Si aspettano che altrettanto improvvisamente riappaia, con la spiegazione di quanto è successo. Sanno tutti che la polizia e militari non esitano a torturare e a uccidere. Ma chi non riappare, neanche cadavere, deve essere vivo” (pp. 140-141).

L’autore
Enrico Calamai è nato a Roma nel 1945. Nonostante la passione per la scrittura, intraprende la carriera diplomatica. Nel 1972 prende servizio a Buenos Aires, dove vive il periodo di più intensa repressione. Con l’aiuto di Filippo di Benedetto, rappresentante dell’INCA CGIL a Buenos Aires, riesce a mettere in salvo centinaia di oppositori politici del regime. Rientrato in Italia è stato chiamato a testimoniare nel processo che ha portato alla condanna di otto militari argentini. Ha contribuito a fondare il Comitato per la promozione e la protezione dei diritti umani. Nel 2004 è stato decorato, in Argentina, con la Cruz dell’Orden del Libertador San Martin, per essersi battuto in difesa dei diritti umani durante gli anni della dittatura.

Per riflettere, per discutere
L’esperienza di Enrico Calamai, prima ancora dell’acuirsi della repressione politica, offre una fotografia della condizione dei migranti italiani in Argentina. Gente partita per assicurarsi la sopravvivenza che il nostro Paese non garantiva, che in molti casi ha avuto un percorso di successo. Ma molti sono anche i “casi umani”: anziani rimasti senza pensione, vittime di una burocrazia incomprensibile; malati, poveri, donne sole bisognose di assistenza. Quelli che non ce l’hanno fatta, si sono ridotti a vivere come barboni e non possono o non vogliono tornare in patria, dove nessuno li aspetta più. “Un concentrato di vecchiaia, bisogni, amarezza: quello che resta di una gioventù intraprendente che, costretta all’esilio dalla fame in Italia, aveva creduto di potersi costruire una vita dignitosa in America” (pp. 22-23). Una descrizione che si adatta alla condizione attuale di molti migranti in Italia e in Europa: si tratta di quella parte delle “vittime ignote del nostro benessere”, a cui il volume è dedicato, che ci vive accanto eppure spesso resta invisibile.

“La tortura è una tecnica psicosomatica che utilizza tutte le potenzialità di sofferenza di cui è capace l’essere umano […]. È un reiterato colpire il corpo e la mente per arrivare sempre più a fondo nella struttura dell’io cosciente” (p. 164-165). È noto che la tortura non ha nulla di casuale. È una tecnica che viene insegnata sistematicamente e il cui vero obiettivo non è l’estorsione di informazioni, ma la distruzione della personalità di chi viene torturato. “Nessuna circostanza eccezionale, quale che essa sia, che si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, di instabilità politica interna o di qualsiasi altro stato di eccezione, può essere invocata per giustificare la tortura”, afferma la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Delle persone che si rivolgono allo sportello legale del Centro Astalli, per richiedenti asilo e rifugiati, almeno una su quattro è stata torturata.
“Un amico di un’ambasciata comunitaria mi spiega pazientemente che non ha senso aiutare i perseguitati, perché nessun paese sarà poi disposto a ospitare dei terroristi. È – mi dice – come buttare un salvagente a chi sta affogando, senza permettergli di salire a bordo” (p. 173). In molti casi, il diritto di asilo resta sulla carta perché non gli Stati non hanno la volontà politica di prestare fede agli impegni che si sono assunti firmando le convenzioni internazionali. In questi casi non si esita ad attribuire ai perseguitati la facile etichetta di “terrorista”.

Per approfondire
“Sono già tanti gli articoli e le corrispondenze in cui viene documentato cosa sta succedendo in Argentina. Ma l’atteggiamento del governo italiano non cambia. La stessa opinione pubblica non sembra particolarmente colpita. Mi sorprendo, convinto ancora che basti far filtrare una notizia a far sì che essa prenda coscienza e insorga. Capirò molto dopo che c’è tutta una tecnica per imporre un tema all’attenzione collettiva. Siamo ancora, e resteremo anche dopo, per quanto riguarda l’Argentina, ad analisi approfondite e puntuali, che non suscitano rispondenza” (p. 163). Enrico Calamai dedica un’attenta riflessione al ruolo dei mezzi di informazione, che hanno contribuito a far sì che il regime in Argentina non rimanesse “macchiato” agli occhi dell’opinione pubblica come quello, pur vittorioso, di Pinochet in Cile. Nel 1978 in Argentina vengono ospitati i Campionati Mondiali di calcio e nulla traspare del dramma dei desaparecidos. La diversa rilevanza data a ogni notizia è alla base di questo processo: ciò che non ha visibilità, non esiste.

Un esercizio utile da fare in classe è l’analisi di un gruppo di quotidiani diversi, alla luce di questi punti:

  • a quali notizie viene data maggiore rilevanza?
  • quali sembrerebbero i criteri per la scelta delle notizie di rilievo?
  • ci sono notizie a cui nei vari giornali viene data rilevanza molto diversa?
  • tra le notizie “minori”, ce ne sono alcune che, secondo i criteri individuati, avrebbero potuto essere messe in rilievo diverso (maggiore o minore)?
  • ci sono notizie presenti in alcuni quotidiani e del tutto assenti in altri?

L’analisi può poi essere integrata con la consultazione di alcune agenzie di notizie on-line quali Redattore Sociale (www.redattoresociale.it), Misna (http://www.misna.org), o Rainews24 (http://www.rainews24.rai.it). Si scoprirà che i criteri per la pubblicazione delle notizie e per la scelta della loro rilevanza sono ancora diversi.

Ogni anno Amnesty International pubblica un rapporto, consultabile anche on-line, che documenta lo stato dei diritti umani in 150 Paesi e Territori, rivelando un mondo lacerato da disuguaglianze, sfregiato da discriminazioni e stravolto da repressioni politiche. Un lavoro in gruppi sulle cinque regioni oggetto del Rapporto (Africa subsahariana, Americhe, Asia e Pacifico, Europa e Asia centrale, Medio Oriente e Africa del Nord) può riservare molte sorprese.

Più volte Calamai, consapevole di agire in aperta contraddizione con le direttive fornite dallo Stato Italiano di cui pure è rappresentante ufficiale, fa riferimento alla tragedia greca Antigone. Una lettura in classe dell’opera sofoclea, ad esempio nella traduzione di Massimo Cacciari (Einaudi 2007), può essere l’occasione per una discussione sul tema sempre attuale del conflitto tra leggi dello stato e “leggi non scritte” (che comprendono certamente il rispetto dei diritti umani). Scrive infatti Calamai: “È stata un’esperienza professionale che mi ha portato a contatto della violenza di Stato in una società da definirsi in tutti i sensi occidentale e cristiana. Una violenza deliberatamente spinta oltre le categorie che caratterizzano l’umano fin dagli albori della civiltà” (p. 9).

Nei panni dei rifugiati: scheda 2.